giovedì 20 gennaio 2011

"Cara Medea" di Antonio Tarantino - uno spettacolo di Francesca Ballico

Un incontro davvero fortunato quello tra un testo, una recitazione e una regia di altissimo livello quello che fino al 23 gennaio è in scena al Teatroinscatola di Roma. Si tratta di "Cara Medea", uno spettacolo di Antonio Tarantino diretto e interpretato da Francesca Ballico. 


Lo spettacolo inizia lentamente per poi prendere il ritmo dei pensieri e dei ricordi, sulla strada. Qui, Medea è carne da macello: una prostituta, sola, che anela la comunicazione, che risponde al telefono e rimane delusa quando non c'è nessuno ad ascoltarla, che raccoglie le monete a terra e compone un numero velocemente perché ha l'urgenza del racconto, dello sfogo senza speranza. 
Con il passaggio delle macchine, che non si fermano mai a guardare, come rumore di fondo, Medea racconta a un Giasone lontano brandelli della sua vita, che spezza, finché la comunicazione non si interrompe, con una risata grottesca che sottolinea ogni passaggio probabilmente troppo doloroso per essere preso sul serio senza farsi ancora del male. 


Francesca Ballico è una di quelle attrici che sulla scena si trasformano, diventano altro da sè,  e mettono lo spettatore in contatto con un'altra realtà, piuttosto che con un personaggio. In questo caso riesce a recitare in lingua polacca, croata, albanese, rumena, russa, italiana e in dialetto friulano senza perdere in nessun momento la credibilità, lasciando che il pubblico empatizzi con naturalezza.
Quello che alla fine rimane è, come deve essere, una sensazione, quel nodo allo stomaco che accompagna ogni tragedia. E quando l'attrice, alla fine dello spettacolo, raccoglie gli applausi, si è già trasfigurata, è già irriconoscibile perché tornata a essere sè. Ma rimane nell'aria quel senso di urgenza e dolore che nessuna cronaca, seppure reale, potrebbe mai trasmettere: la sensazione di aver vissuto quella storia, da qualche parte e in qualche tempo.
Questa è una Medea che ha visto e vissuto la guerra, il dolore, la migrazione, la menzogna, la follia. L'unica cosa che le rimane sulla strada è la parola, la lingua che cambia percorrendo i confini dell'Europa dilaniata dalle guerre, nel tentativo di farsi capire senza riuscire a farlo in alcun modo. Ma Medea insiste, tragicamente, e riattacca la cornetta solo quando le parole le tornano indietro, pesanti come pietre. Struggente e bellissimo.


Riporto le parole della regista e interprete:


"Medea la barbara, la straniera, porta la voce di lingue sconosciute, la ferita della carne degli uccisi, il sacrificio dei figli, fatti a pezzi per Giasone, il moderno, lo scaltro, il pragmatico. Nella versione di Antonio Tarantino dietro i nomi del mito si arrabattano due disgraziati, offesi dalle guerre, rovinati dal vino cattivo, e dalle prestazioni sessuali consumate tra i camion nelle strade di frontiera. 
La mia Medea non riesce a farsi capre, il suo linguaggio diventa ridicolo come l'ostinazione a comunicare il suo orgoglio, la vanità di avanzi di seduzione, la rabbia, le sue inutili recriminazioni ad un Giasone altrettanto impotente, che le spilla due lire tra i campi di confine. Una babele di lingue che segna il cammino di migrante, tra le guerre che hanno dilaniato i confini dell'Europa. Parole sconosciute che si affastellano, si sbriciolano progressivamente fino a diventare sillabazioni inopportune, grottesche. Inadeguate al racconto. La linea cade, la comunicazione si interrompe, e riprende in un flusso caotico, dal quale traspare la storia di due eroi di rango più basso, una storia che non ha asilo nel mondo civile, che non sa difendersi, risibile. 
Seguirò il suo cammino tra i confini, sbriciolando il Polacco, il Friulano, il Croato, l'Albanese, il Rumeno, e il Russo e l'Italiano sgraziato e inopportuno di chi adesso qui, racconta le sue improponibili vicende tra una fellatio e l'altra. Un modo questo, di usare la bocca e farsi capire ovunque".

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