sabato 6 novembre 2010

I tagli alla cultura ci rendono più poveri - e disoccupati

"La cultura non si mangia". È questa la motivazione, che evidentemente a qualcuno pare sensata, che avrebbe portato la cultura in Italia ad avere un taglio di ben 280 milioni di euro (se si parla solo dei tagli diretti al Ministero e agli enti culturali).


Qualcuno dovrebbe spiegare a certi signori, Tremonti in primis, che la cultura non è un hobby, che di cultura si vive, eccome, e non solo in senso figurato. Ha idea Tremonti di quante professionalità lavorano nel cinema, nel teatro, nei musei, negli spazi espositivi, nella "cultura" in genere? Ha idea di quanti macchinisti, fonici, costumisti, attori, registi, cantanti, archeologi, musicisti, studiosi, restauratori, fotografi e chi più ne ha più ne metta - la lista è davvero lunga - impiega la macchina culturale in Italia? Moltissimi, in termini assoluti, e non meno degni degli operai della Fiat o dei piloti dell'Alitalia di portare a casa lo stipendio. 


Eppure a conti fatti gli occupati nel settore culturale sono in realtà pochi, se guardiamo alle potenzialità che il nostro Paese avrebbe per monetizzare il patrimonio culturale e artistico che ha. Dove, per esempio, tanto per citarne una, il cinema è considerato un'industria, e non un vezzo, il comparto, che produce molte più pellicole di qualità (anche in termini percentuali), impiega milioni di persone e muove milioni di dollari. 


Nessuno nega la necessità di razionalizzare e rendere efficienti le risorse destinate alla cultura. Ma tra questo e tagliare i fondi indiscriminatamente c'è una differenza abissale. Razionalizzare e rendere efficienti le risorse significherebbe lavorare sulle possibilità di crescita e espansione del settore.


Al solito, invece, non solo nessuno si occupa di sfruttare le potenzialità reali di questo Paese - che, evidentemente, non sono esclusivamente industriali o manifatturiere - ma, esattamente come per la scuola, nessuno si preoccupa nemmeno del futuro di questo Paese. Non bisogna dimenticare che la cultura è fondamentale per la crescita personale e la capacità analitica e critica della popolazione. Che sia meglio, per chi è al potere, che l'Italia non abbia una opinione pubblica con queste qualità - e, dunque, nemmeno un futuro degno di questo nome?

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