mercoledì 15 febbraio 2012

20 anni di sacrifici: parola di Monti

No alle Olimpiadi. Troppo costose, e fuori luogo. Ok, giusto.
Ma il punto è un altro: voi quanti anni avrete, tra 20? 

Abbiamo davanti 20 anni - "come sapete" - di sacrifici. Il governo Monti dice no alla candidatura di Roma per le Olimpiadi 2020. Il che, francamente, non fa una piega: sono ancora aperte le ferite per le spese folli e inutili degli ultimi Mondiali di nuoto e a dire il vero sono ancora aperte quelle dei Mondiali di calcio di Italia 90. Ridicolo spendere per un baraccone come quello di Roma 2020. Ma la cosa da mettere a fuoco è un'altra. Abbiamo davanti un periodo lunghissimo di ristrettezze e sacrifici.

Queste le parole di Monti. Naturalmente non ce ne importa nulla di commentare il no alle Olimpiadi di Roma quanto di capire il vero punto del giorno. E del futuro.

Dunque 20 anni di sacrifici.

Intanto, non lo sapevamo affatto, come invece sembra voler far percepire il premier. O meglio, ancora la cosa non era stata esplicitata, anche se almeno su questo giornale ce lo siamo detti spesso. Invece adesso è ufficiale, se anche il "professore" ha parlato così chiaro.

Ma il punto è che le parole di Monti, sebbene a nostro avviso vadano considerate per "difetto" sulla durata del purgatorio, sono una vera e propria bomba. Perché comunque esplicitano una data, una ipotesi di "fine pena". Sulla quale, come tutti i condannati dopo aver ascoltato la sentenza, vale la pena di ragionare.

Voi quanti anni avrete, tra vent'anni? Siete disposti a vivere vent'anni d'inferno e a ritrovarvi tanto avanti negli anni (già anziani?) il giorno in cui - e sono solo previsioni - si potrà tornare, secondo Monti, semplicemente ai livelli ante-crisi in cui peraltro non è che si stava poi così bene?

Insomma questo è quanto. Ce ne è abbastanza per una rivoluzione, se solo gli italiani capissero cosa significa. Se solo avessero ancora sangue nelle vene.

Ma senza andare troppo in là, ce ne è abbastanza per fermare ogni tipo di investimento, personale o aziendale, per bloccare immediatamente ogni spesa, ogni rata, ogni cosa: per vent'anni, nisba, niente da fare. Nessuna ripresa, nessun miglioramento rispetto ad adesso. Anzi, semmai andrà peggio, proprio per il processo dell'effetto domino innescato dalle misure appena prese e da quelle che presumibilmente saranno prese a breve. Altro che sciopero della Fiom, altro che Camusso e compagnia cianciando. 

vlm


lunedì 6 febbraio 2012

Spot Fiat. «Questa è l’Italia che piace»…

Mentre scorre in tv l’ultima trovata pubblicitaria Fiat di dubbio gusto Standard & Poor’s si accinge a rivedere al ribasso le sue previsioni sull’azienda. E Marchionne, a sua volta, si appresta a vendere poco meno di 2 milioni di azioni.

È venerdì passato e ancora la Fiat non ha subìto il calo in Borsa, legato in buona parte alla spada di Damocle del giudizio di Standard & Poor's sul debito a lungo termine della Fiat. In questa situazione di certo non ha aiutato la maxi vendita dell’amministratore delegato, anche se lui ha provato a spiegare il tutto con una questione fiscale: ha intascato gratuitamente dalla Fiat un bonus in azioni sulle quali dovrà pagare delle tasse. I soldi provenienti dalla vendita gli servirebbero per questo.

La mossa però è azzardata, e sembra quasi una fuga prima del crollo. In una nota dell’agenzia di rating si legge infatti: «Abbiamo osservato sovraccapacità nel mercato di massa europeo, in particolare in Italia, secondo maggior mercato per Fiat, e una debolezza della domanda a causa delle misure di austerità introdotte dal governo italiano delle paure dei consumatori per il loro impatto. Standard & Poor's ritiene che tale contesto causerà un peggioramento delle performance operative di Fiat nel 2012. Allo stesso tempo, il Brasile, il mercato più forte per la casa torinese, è in una situazione di crescente concorrenza che ha ridotto l'importante quota di mercato di Fiat». Insomma, anche se S&P deve ancora pronunciarsi, e lo farà entro i prossimi tre mesi, le previsioni sono tutt’altro che rosee. La stima più probabile è un abbassamento del rating da “BB” a “BB-”. 

E intanto, imperterrita, la pubblicità scorre. Una pubblicità poco lusinghiera con la tradizione culturale e culinaria del nostro Paese, giudicata “l’immagine che ci vogliono dare”, ma diciamo pure giustificabile con la necessità di dire che “non siamo solo bravi a cucinare” in pochi frame. È negli istanti seguenti che l’abilità comunicativa dello staff pubblicitario dà il suo meglio facendo leva su tutto il sentimentalismo italiano. Immagini di fabbrica, lo svincolo autostradale di Pomigliano, una famiglia e una madre che chiude il giubbotto al figlio prima di farlo uscire di casa e andare al lavoro. E una voce: « (...) perché in Italia ogni giorno c’è qualcuno che si sveglia e mette nel suo lavoro il talento, la passione, la creatività, ma soprattutto la voglia di costruire una cosa ben fatta». Peccato che magari lo svincolo di Pomigliano sarà presto teatro di nuove proteste, e che quelle famiglie (non vorrete mica far credere che comprare una Fiat, visto che è ormai praticamente made in Slovenia, significhi salvare lo stipendio di una madre italiana?) hanno già ben poco da sorridere, visti proprio i contratti “modello Pomigliano” che sono stati imposti al personale dietro la minaccia della chiusura.
E così, dalle ultime battute del testo dello spot, quella che nelle intenzioni dovrebbe essere una certezza diventa una domanda quasi retorica: «Questa è l’Italia che piace»?!

Sara Santolini

Default Grecia. È quasi countdown


Siamo al punto di non ritorno, nei rapporti tra Grecia e Ue? Forse ancora no, ma di sicuro ci si trova più che mai in piena impasse. Dopo che i principali partiti ellenici hanno rigettato le draconiane misure suggerite, o per meglio dire intimate, dalla Trojka, ai vertici comunitari non è rimasto che prendere atto della situazione.
«La Grecia – ha dichiarato il portavoce della Commissione, Amadeu Altafaj Tardio – ha già superato la data limite che la Ue le aveva dato. Speravamo di arrivare a un accordo in questi giorni ma purtroppo non è stato così. Tutti i ministri dell’Eurogruppo sono pronti a riunirsi quando ci saranno gli elementi, ma per ora è inutile convocarli. La palla è nel campo delle autorità greche».
La questione, però, si potrebbe ribaltare. Nel momento in cui le richieste internazionali sono eccessivamente onerose, come in questo caso, resta ben poco da fare se non rigettarle. Se la palla non è utilizzabile, perché è sgonfia o perché è troppo pesante, la responsabilità dell’interruzione del gioco non ricade necessariamente sulla squadra che si ferma, ma su quella che di fatto le impedisce di proseguire. Il terzetto Ue-Bce-Fmi ha richiesto che si abbassino, o piuttosto che si abbattano, i salari minimi, che si cancellino le tredicesime anche in ambito privato, e che si proceda a ulteriori tagli per un ammontare intono all’uno per cento del Pil. Di fronte a questi nuovi, e spaventosi, interventi, sia la politica che il sindacato non se la sono sentita di avallarli.
Antonis Samaras, presidente del partito conservatore greco Nea Demokratia, ha denunciato che «ci stanno chiedendo una grande recessione che il paese non può permettersi», promettendo che combatterà «per evitare un simile scenario». George Karatzaferis, a capo della formazione di estrema destra Laos, ha puntualizzato di non voler «contribuire all'esplosione di una rivoluzione». E anche Papandreou, leader dei socialisti e premier fino all’avvento di Papademos nel novembre scorso, ha negato il suo assenso.
I tempi sono molto stretti. In marzo andranno in scadenza titoli di Stato per 14,5 miliardi e senza l’afflusso di nuovi fondi, nell’ambito di una linea di credito che si aggira sui 130 miliardi, sarà impossibile saldarli. La Trojka, convinta di avere il coltello dalla parte del manico, continua ad agitare lo spauracchio del default. Ma in Grecia sembrano crescere i dubbi, legittimi,sul fatto che sia proprio questo, il peggio che può capitare al Paese in vista di una profonda ristrutturazione economica e sociale.
(red)