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DA LEGGERE
#UNIONICIVILI E IL MONDO ETICO E SOCIALE
L’ambito giuridico delle Unioni Civili è in corso di modifica sensibile anche nel nostro Paese. Non è affare di poco conto, o che riguard...
venerdì 20 dicembre 2013
lunedì 13 maggio 2013
sabato 11 maggio 2013
La prossima bolla
da www.ilribelle.com
Ormai se ne parla comunemente anche sui giornali finanziari che sino a ora, o almeno in tutti gli anni in cui a scriverlo erano solo quelli di controinformazione, non erano poi tanto propensi a rivelare i veri rischi delle "politiche eterodosse" utilizzate dalle Banche Centrali. Questa è la volta, addirittura, del Sole 24 Ore, che usa proprio questi termini riprendendo alcune analisi del Fondo Monetario Internazionale:
Ormai se ne parla comunemente anche sui giornali finanziari che sino a ora, o almeno in tutti gli anni in cui a scriverlo erano solo quelli di controinformazione, non erano poi tanto propensi a rivelare i veri rischi delle "politiche eterodosse" utilizzate dalle Banche Centrali. Questa è la volta, addirittura, del Sole 24 Ore, che usa proprio questi termini riprendendo alcune analisi del Fondo Monetario Internazionale:
"Il Fondo mette in evidenza che le politiche eterodosse adottate finora dalle banche centrali hanno contribuito alla stabilità finanziaria nel breve termine, soprattutto perché hanno rimesso in sesto i conti di tante banche traballanti, ma ricorda anche che c'è il rovescio della medaglia: le banche centrali hanno accettato di assumersi rischi finanziari nuovi per quantità e qualità e non sappiamo, perché siamo entrati in un territorio inesplorato nella storia della finanza, quali saranno le conseguenze, anche politiche nel lungo termine. Le banche, inoltre, potrebbero essere indotte a rinviare al futuro azioni di ristrutturazione e di risanamento assolutamente indispensabili. E via elencando fra uno scongiuro e l'altro. "...
giovedì 7 marzo 2013
da Arianna Editrice
Misteri gaudiosi. Monsignor Ernesto Galli della Loggia scopre che il populismo non è il Male Assoluto. O, quantomeno, che si è fatta molta confusione sul populismo e arriva a legittimarlo anche in certi aspetti del nazismo (Corriere 27/2). I nostri fini dicitori, che dovrebbero essere gli interpreti della realtà, a furia di star chiusi nelle loro stanze di professori, han finito per non capirne nulla, sono stati sorpresi dall'exploit di Grillo e ora cercano disperatamente di riposizionarsi per far dimenticare che per decenni sono stati complici di quella partitocrazia che 5Stelle sta per spazzar via, offrendo i loro servigi al nuovo vincitore. Lo stesso è accaduto agli uomini politici che, saltabeccando da una TV all'altra, parlando in teatrini compiacenti, confabulando in Transatlantico intenti a confezionare sofisticate strategie, non si sono resi conto, fino all'ultimo, che lo 'tsunami' non era una parola ma un'onda che li avrebbe travolti. Eppure non era tanto difficile da capire, bastava scendere in strada, entrare in un bar, prendere un autobus, per capire che aria tirava.
Adesso Bersani, dopo averlo coperto di insulti («indegno», «uno che porta la gente fuori dalla democrazia») implora Grillo di concedergli almeno l' 'appoggio esterno' e gli promette la presidenza della Camera. Ma Grillo ha già risposto con un regolamentare 'vaffa'. Non penso nemmeno, nonostante il leader di 5Stelle si sia espresso in contrario, che Grillo accetterà di votare i singoli provvedimenti che rientrano anche nel suo programma. Perchè non gli conviene contaminarsi, anche solo marginalmente, con una classe dirigente che ha dichiarato di voler spazzar via, tutta. Gli conviene aspettare, come ha fatto finora, che si finisca da sola. L'unica possibilità di formare un governo è una 'Grosse Koalition' fra Pd e Pdl. Ma in tal caso i due ex maggiori partiti si sputtanerebbero definitivamente davanti a quel che resta dei loro elettori e un governo del genere, per le sue insanabili contraddizioni interne, cadrebbe nel giro di pochi mesi. L'altra ipotesi è che si vada alle urne subito, dopo aver cambiato la legge elettorale. In un caso o nell'altro 5Stelle non prenderà più il 25,6% ma il 40 o il 50. Il voto del 26 febbraio è stato solo il primo colpo. Il prossimo sarà quello del ko definitivo.
Il progetto di Grillo va oltre quello di eliminare una classe dirigente degenerata. E' molto più ambizioso. Intende rivedere da cima a fondo un modello di sviluppo, quello occidentale, che ci sta portando al tracollo economico dopo aver realizzato quello sociale, etico, umano. Non so se lo si è davvero capito ma Beppe Grillo è un tradizionalista che utilizza strumenti modernissimi, il web, contro le storture della Modernità. Basta pensare al suo discorso sul lavoro:«Il lavoro è importante, ma non puo' essere tutta la nostra vita, che è fatta di altro». Tradotto significa: meno lavoro, meno guadagni, meno produzione, meno consumi ma più tempo, che è il vero valore della vita, per noi. Una partita difficilissima, che avrà contro tutti gli attuali establishment e che impegnerà le generazioni a venire. Ma almeno il 26 febbraio è stato dato, in Italia, paese storicamente laboratorio, il calcio d'inizio.
Massimo Fini
Misteri gaudiosi. Monsignor Ernesto Galli della Loggia scopre che il populismo non è il Male Assoluto. O, quantomeno, che si è fatta molta confusione sul populismo e arriva a legittimarlo anche in certi aspetti del nazismo (Corriere 27/2). I nostri fini dicitori, che dovrebbero essere gli interpreti della realtà, a furia di star chiusi nelle loro stanze di professori, han finito per non capirne nulla, sono stati sorpresi dall'exploit di Grillo e ora cercano disperatamente di riposizionarsi per far dimenticare che per decenni sono stati complici di quella partitocrazia che 5Stelle sta per spazzar via, offrendo i loro servigi al nuovo vincitore. Lo stesso è accaduto agli uomini politici che, saltabeccando da una TV all'altra, parlando in teatrini compiacenti, confabulando in Transatlantico intenti a confezionare sofisticate strategie, non si sono resi conto, fino all'ultimo, che lo 'tsunami' non era una parola ma un'onda che li avrebbe travolti. Eppure non era tanto difficile da capire, bastava scendere in strada, entrare in un bar, prendere un autobus, per capire che aria tirava.
Adesso Bersani, dopo averlo coperto di insulti («indegno», «uno che porta la gente fuori dalla democrazia») implora Grillo di concedergli almeno l' 'appoggio esterno' e gli promette la presidenza della Camera. Ma Grillo ha già risposto con un regolamentare 'vaffa'. Non penso nemmeno, nonostante il leader di 5Stelle si sia espresso in contrario, che Grillo accetterà di votare i singoli provvedimenti che rientrano anche nel suo programma. Perchè non gli conviene contaminarsi, anche solo marginalmente, con una classe dirigente che ha dichiarato di voler spazzar via, tutta. Gli conviene aspettare, come ha fatto finora, che si finisca da sola. L'unica possibilità di formare un governo è una 'Grosse Koalition' fra Pd e Pdl. Ma in tal caso i due ex maggiori partiti si sputtanerebbero definitivamente davanti a quel che resta dei loro elettori e un governo del genere, per le sue insanabili contraddizioni interne, cadrebbe nel giro di pochi mesi. L'altra ipotesi è che si vada alle urne subito, dopo aver cambiato la legge elettorale. In un caso o nell'altro 5Stelle non prenderà più il 25,6% ma il 40 o il 50. Il voto del 26 febbraio è stato solo il primo colpo. Il prossimo sarà quello del ko definitivo.
Il progetto di Grillo va oltre quello di eliminare una classe dirigente degenerata. E' molto più ambizioso. Intende rivedere da cima a fondo un modello di sviluppo, quello occidentale, che ci sta portando al tracollo economico dopo aver realizzato quello sociale, etico, umano. Non so se lo si è davvero capito ma Beppe Grillo è un tradizionalista che utilizza strumenti modernissimi, il web, contro le storture della Modernità. Basta pensare al suo discorso sul lavoro:«Il lavoro è importante, ma non puo' essere tutta la nostra vita, che è fatta di altro». Tradotto significa: meno lavoro, meno guadagni, meno produzione, meno consumi ma più tempo, che è il vero valore della vita, per noi. Una partita difficilissima, che avrà contro tutti gli attuali establishment e che impegnerà le generazioni a venire. Ma almeno il 26 febbraio è stato dato, in Italia, paese storicamente laboratorio, il calcio d'inizio.
Massimo Fini
venerdì 22 febbraio 2013
MONTI HA FALLITO Lo spread è calato "grazie" alla BCE. Che ci ha guadagnato.
(da www.ilribelle.com)
Le misure di austerità non sono servite a nulla.
Non è proprio così, nel senso che a qualcosa, quelle misure, sono servite: come sappiamo, a fare i favori dei banksters e delle industrie, che ora, nel nostro Paese, possono licenziare come meglio credono. Altra cosa: visto che lo Stato non dovrà più pagare le pensioni - praticamente soppresse dalla riforma Fornero, soprattutto per i più giovani - adesso tutto il denaro drenato ai cittadini potrà confluire nel pagare gli interessi sul debito, illegittimo e inesigibile, della speculazione internazionale.
Per quanto attiene invece allo spread, "miracolosamente" calato sotto 300 punti (valore che tutto è fuorché sostenibile, beninteso) ebbene tutto quanto fatto da Mario Monti non ha contato assolutamente nulla. Il motivo del suo calo, dagli oltre 500 punti alla data delle dimissioni di Berlusconi, è tutto da ascrivere alla Banca Centrale Europea.
È Mario Draghi stesso di fatto a confermarlo. Fra il 2011 e il 2012, quando la BCE intervenne sui mercati per acquistare i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, la quota maggiore di quelle operazioni fu esattamente per l'Italia.
La BCE, attraverso l'operazione Omt, acquistò titoli di Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, ma soprattutto, più di tutti, quelli dell'Italia. Il nostro Paese ha "beneficiato" di ben 102,8 miliardi di euro di bond acquistati dalla BCE (dei circa 470 messi in vendita nel 2012) mentre gli altri Paesi, nell'ordine poc'anzi citato, hanno impegnato Francoforte per soli 44,3, 33,9, 22,8 e 14,2 miliardi.
Dunque Draghi aiutò formalmente l'Italia ma direttamente proprio Mario Monti, che all'epoca poteva (e tuttora fa lo stesso) andare in giro tronfio dei risultati ottenuti sullo spread dal suo governo che oggi, invece, sappiamo da chi e cosa provengono.
Ma c'è dell'altro. E forse ancora più "interessante": la BCE ha comunicato la chiusura del bilancio del 2012. Ebbene, il suo utile netto è stato di 998 milioni di Euro. Addirittura in rialzo rispetto al 2011. Insomma, per la Banca Centrale Europea non c'è stata crisi, anzi.
Il surplus è stato di 2,164 miliardi (1,894 nel 2011), di cui 1,166 miliardi messi a riserva a copertura dei rischi. Lo ha annunciato proprio la Bce dopo che il consiglio direttivo ha approvato i conti 2012. I margini netti realizzati dalla Banca Centrale sugli interessi raggiungono i 2,289 miliardi (1,999 miliardi nel 2011), di cui 1,108 miliardi dai titoli di Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia acquistati attraverso il programma 'Omt'.
E ora la beffa - che peraltro conferma il carattere criminoso di questa organizzazione speculativa: dell'utile 2012 sono stati già girati 575 milioni alle Banche dell'eurozona, mentre i restanti 423 milioni saranno distribuiti il 25 febbraio.
Ecco il circolo diabolico: la BCE compra i titoli di Stato dei Paesi in crisi e ci guadagna gli interessi (succhiati ai cittadini che devono subire le misure di austerità per ripagarli) quindi presta gli utili alle Banche in crisi che a loro volta li investono ancora nei titoli di Stato dei vari Paesi lucrandoci sopra l'interesse. Sempre sulle spalle dei cittadini. E infine, quando le Banche periferiche vanno all'incasso dei titoli a scadenza, riconsegnano denaro maggiorato di interesse alla BCE.
Quante volte ci guadagna la BCE? Facile: in ognuno di questi passaggi. Ad iniziare dal principio, ovvero dalla creazione di moneta che alla Banca Centrale non costa assolutamente nulla, e poi via via in ognuno dei passaggi citati, per via diretta (acquisto in proprio dei titoli) o per via indiretta, attraverso le altre Banche periferiche, che sono peraltro anche sue stesse azioniste.
Le misure di austerità non sono servite a nulla.
Non è proprio così, nel senso che a qualcosa, quelle misure, sono servite: come sappiamo, a fare i favori dei banksters e delle industrie, che ora, nel nostro Paese, possono licenziare come meglio credono. Altra cosa: visto che lo Stato non dovrà più pagare le pensioni - praticamente soppresse dalla riforma Fornero, soprattutto per i più giovani - adesso tutto il denaro drenato ai cittadini potrà confluire nel pagare gli interessi sul debito, illegittimo e inesigibile, della speculazione internazionale.
Per quanto attiene invece allo spread, "miracolosamente" calato sotto 300 punti (valore che tutto è fuorché sostenibile, beninteso) ebbene tutto quanto fatto da Mario Monti non ha contato assolutamente nulla. Il motivo del suo calo, dagli oltre 500 punti alla data delle dimissioni di Berlusconi, è tutto da ascrivere alla Banca Centrale Europea.
È Mario Draghi stesso di fatto a confermarlo. Fra il 2011 e il 2012, quando la BCE intervenne sui mercati per acquistare i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, la quota maggiore di quelle operazioni fu esattamente per l'Italia.
La BCE, attraverso l'operazione Omt, acquistò titoli di Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, ma soprattutto, più di tutti, quelli dell'Italia. Il nostro Paese ha "beneficiato" di ben 102,8 miliardi di euro di bond acquistati dalla BCE (dei circa 470 messi in vendita nel 2012) mentre gli altri Paesi, nell'ordine poc'anzi citato, hanno impegnato Francoforte per soli 44,3, 33,9, 22,8 e 14,2 miliardi.
Dunque Draghi aiutò formalmente l'Italia ma direttamente proprio Mario Monti, che all'epoca poteva (e tuttora fa lo stesso) andare in giro tronfio dei risultati ottenuti sullo spread dal suo governo che oggi, invece, sappiamo da chi e cosa provengono.
Ma c'è dell'altro. E forse ancora più "interessante": la BCE ha comunicato la chiusura del bilancio del 2012. Ebbene, il suo utile netto è stato di 998 milioni di Euro. Addirittura in rialzo rispetto al 2011. Insomma, per la Banca Centrale Europea non c'è stata crisi, anzi.
Il surplus è stato di 2,164 miliardi (1,894 nel 2011), di cui 1,166 miliardi messi a riserva a copertura dei rischi. Lo ha annunciato proprio la Bce dopo che il consiglio direttivo ha approvato i conti 2012. I margini netti realizzati dalla Banca Centrale sugli interessi raggiungono i 2,289 miliardi (1,999 miliardi nel 2011), di cui 1,108 miliardi dai titoli di Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia acquistati attraverso il programma 'Omt'.
E ora la beffa - che peraltro conferma il carattere criminoso di questa organizzazione speculativa: dell'utile 2012 sono stati già girati 575 milioni alle Banche dell'eurozona, mentre i restanti 423 milioni saranno distribuiti il 25 febbraio.
Ecco il circolo diabolico: la BCE compra i titoli di Stato dei Paesi in crisi e ci guadagna gli interessi (succhiati ai cittadini che devono subire le misure di austerità per ripagarli) quindi presta gli utili alle Banche in crisi che a loro volta li investono ancora nei titoli di Stato dei vari Paesi lucrandoci sopra l'interesse. Sempre sulle spalle dei cittadini. E infine, quando le Banche periferiche vanno all'incasso dei titoli a scadenza, riconsegnano denaro maggiorato di interesse alla BCE.
Quante volte ci guadagna la BCE? Facile: in ognuno di questi passaggi. Ad iniziare dal principio, ovvero dalla creazione di moneta che alla Banca Centrale non costa assolutamente nulla, e poi via via in ognuno dei passaggi citati, per via diretta (acquisto in proprio dei titoli) o per via indiretta, attraverso le altre Banche periferiche, che sono peraltro anche sue stesse azioniste.
martedì 5 febbraio 2013
Mille imprese in meno al giorno
Di poco tempo fa la "notizia" della chiusura della imprese in tutta Italia. "Mille al giorno", come si è sentito tuonare dalle colonne dai giornali, sottolineando però che il saldo sarebbe positivo. Magra, magrissima consolazione che, a ben vedere, una consolazione non è.
Innanzitutto perchè il famoso saldo sarebbe ridicolo: un +0,31% che non fa contento nessuno. In secondo luogo perchè insieme all'edilizia, che è un settore morto quanto quello dell'auto e come questo in ogni caso destinato a un fortissimo - inevitabile e anche auspicabile - ridimensionamento in pole position tra le imprese più colpite ci sono l'artigianato e l'agricoltura. Il primo per anni ha rappresentato una delle eccellenze italiane, il secondo è fondamentale per la sicurezza alimentare. Sembra un discorso fuori dal tempo, ma in buona parte il ritorno alla terra che interessa il nostro Paese (nel 2012 i giovani agricoltori sono aumentati del 4,2%), per il Bel Paese significa, assieme al rifiuto dei mestieri tipici del nostro tempo come il lavoro operaio o impiegatizio, proprio questo.
Chi si è messo alla guida delle aziende, tanto da far registrare un trend positivo? Giovani under 35, immigrati e donne: le frange più deboli della società, che di solito sono costrette ad arrabattarsi per poter lavorare, figuriamoci in tempo di crisi. Diventano imprenditori di se stessi e si riscattano? Può darsi, e magari in qualche caso è proprio così.
Altre due cose che stonano sono la ormai palese crisi delle professioni e la teoria della voglia di fare impresa che secondo alcuni sarebbe sempre più forte tra i ragazzi. Architetti, Ingegneri, ma anche commercialisti e avvocati sono sempre meno. O meglio, sono sempre meno i giovani che riescono ad affacciarsi a queste professioni e a restarci dentro. Aprono partita iva, cominciano a lavorare e in breve rimangono inevitabilmente schiacciati dal reddito troppo basso e le tasse da pagare. Tutto questo a fronte di quello che sembrava un vero e proprio exploit delle imprese giovanili, iscritte col regime de minimi al 5% che sulla carta doveva servire a sostenere l'imprenditorialità giovanile mentre nei fatti è una scorciatoia per far lavorare nelle aziende i ragazzi, sottocosto e senza alcuna tutela. Accanto a loro, anche chi non fa parte di alcuna professione ma lavora comunque nelle stesse condizioni - legge Fornero o meno: proprio giovani under 35 e donne, in qualche caso anche immigrati.
Sono queste buona parte delle "imprese" che hanno aperto nel 2012: specchietti per le allodole.
Innanzitutto perchè il famoso saldo sarebbe ridicolo: un +0,31% che non fa contento nessuno. In secondo luogo perchè insieme all'edilizia, che è un settore morto quanto quello dell'auto e come questo in ogni caso destinato a un fortissimo - inevitabile e anche auspicabile - ridimensionamento in pole position tra le imprese più colpite ci sono l'artigianato e l'agricoltura. Il primo per anni ha rappresentato una delle eccellenze italiane, il secondo è fondamentale per la sicurezza alimentare. Sembra un discorso fuori dal tempo, ma in buona parte il ritorno alla terra che interessa il nostro Paese (nel 2012 i giovani agricoltori sono aumentati del 4,2%), per il Bel Paese significa, assieme al rifiuto dei mestieri tipici del nostro tempo come il lavoro operaio o impiegatizio, proprio questo.
Chi si è messo alla guida delle aziende, tanto da far registrare un trend positivo? Giovani under 35, immigrati e donne: le frange più deboli della società, che di solito sono costrette ad arrabattarsi per poter lavorare, figuriamoci in tempo di crisi. Diventano imprenditori di se stessi e si riscattano? Può darsi, e magari in qualche caso è proprio così.
Altre due cose che stonano sono la ormai palese crisi delle professioni e la teoria della voglia di fare impresa che secondo alcuni sarebbe sempre più forte tra i ragazzi. Architetti, Ingegneri, ma anche commercialisti e avvocati sono sempre meno. O meglio, sono sempre meno i giovani che riescono ad affacciarsi a queste professioni e a restarci dentro. Aprono partita iva, cominciano a lavorare e in breve rimangono inevitabilmente schiacciati dal reddito troppo basso e le tasse da pagare. Tutto questo a fronte di quello che sembrava un vero e proprio exploit delle imprese giovanili, iscritte col regime de minimi al 5% che sulla carta doveva servire a sostenere l'imprenditorialità giovanile mentre nei fatti è una scorciatoia per far lavorare nelle aziende i ragazzi, sottocosto e senza alcuna tutela. Accanto a loro, anche chi non fa parte di alcuna professione ma lavora comunque nelle stesse condizioni - legge Fornero o meno: proprio giovani under 35 e donne, in qualche caso anche immigrati.
Sono queste buona parte delle "imprese" che hanno aperto nel 2012: specchietti per le allodole.
venerdì 25 gennaio 2013
Chavéz su El País
Ieri mattina El País ha pubblicato in prima pagina una foto - che la occupava quasi tutta - che sarebbe dovuta essere di Chavéz. La foto ritraeva un uomo sud americano, sdraiato su quello che sembra un lettino d'ospedale e intubato. Sorvolando sul cattivo gusto di pubblicare in ogni caso una foto che, almeno secondo la sensibilità europea, è in ogni caso lesiva della dignità della persona - e che dunque non vedrete su questo blog - inutile dire che non si trattava di Chavéz: l'immagine è stata cancellata dal sito del giornale una mezz'ora dopo la sua pubblicazione e migliaia di copie di El País sono state ritirate dalle edicole.
Ammessa e non concessa la buona fede del giornale, l'ossessiva attenzione per le condizioni di salute di Chavéz la dice lunga sul valore della comunicazione. Perché pubblicare una foto del genere? Le soluzioni sono due: o si vuole dare per forza la notizia dell'imminente dipartita del leader venezuelano, oppure l'informazione è ormai scesa al rango del mero gossip. Difficile dire quale delle due opzioni sia auspicabile.
Nel primo caso, senza negare che le condizioni di Chavéz siano gravi - chi, avendo un tumore, non lo sarebbe? - El País fa il gioco degli USA, incontenibili oppositori di un governo che non si piega alle sue necessità economiche. Sarebbe utile infatti per gli Stati Uniti che la popolazione venezuelana, orfana del padre della sua rivoluzione, finalmente si rendesse conto che non può fare a meno di quel capitalismo, quella mancanza di welfare, quell'apertura al capitale straniero proprio di ogni Paese "libero" - o liberalizzato - che ha già portato Stati Uniti e Europa alle estreme conseguenze della crisi economica.
Nel secondo caso, inutile dirlo, El País si può considerare alla stregua di un giornaletto lobotomizzante da leggere sotto l'ombrellone. Magari in agosto, quando troppo spesso anche il cervello è "in vacanza".
domenica 13 gennaio 2013
Roaming - Calendario del 2013
In tanti
si sono occupati di ricordare quello che è accaduto nel 2012, dalla rielezione
di Obama al conflitto in Siria.
Sicuri
che del 2012 ne abbiamo tutti le tasche piene, passiamo a una veloce carrellata
degli appuntamenti principali del 2013, commentandone qualcuno di volata.
Innanzitutto
quello che per decisione del Parlamento Europeo sarà l'"Anno Europeo dei
Cittadini" - tanto per aggiungere al danno la beffa - sarà costellato di
elezioni e incontri al vertice senza dare alcuna possibilità alla popolazione
di riprendersi dalle difficoltà economiche, tranne in caso di grossi
sconvolgimenti di cui al momento non si vede traccia.
Gennaio:
elezioni in Israele, inaugurazione secondo mandato di Barack Obama
Elezioni
il 22 gennaio per Israele. L'alleanza tra il partito Likud del primo ministro
Benjamin Netanyahu e il ministro degli esteri Avigdor Lieberman, il partito
"Biberman", sembra destinata a ottenere largo consenso tra la
popolazione e a vincere largamente le elezioni. Questo nonostante ci siano già
tensioni interne, e alcuni personaggi importanti personaggi dei partiti in
questione non entreranno a far parte della coalizione perchè favorevoli a
quegli scambi territoriali con i palestinesi che poco concordano con la volontà
di costruire nuovi quartieri ebraici su suolo medio orientale mostrata dal
governo in carica.
In ogni
caso, visto che gli elettori israeliani hanno mostrato di premiare le politiche
di aggressione, è molto probabile che Netanyahu resti al suo posto. Ed è
altrettanto possibile che i rapporti con la Palestina, i palestinesi - e anche
l'Iran che gioca un ruolo fondamentale nello scacchiere mediorientale - non
siano destinati a distendersi.
Febbraio:
elezioni in Italia, primo Consiglio Europeo dei Capi di Stato e di Governo
dell'anno
Il 24 e
25 febbraio gli italiani verranno chiamati alle urne. Difficile dire come
andrà, anche perchè le liste in corsa aumentano e diminuiscono di ora in ora.
In questo momento è palesamente scontata la candidatura di Mario Monti, e
ancora sembra che si potrà scegliere anche tra Bersani col Pd, il "Rivoluzione
Civile" di Ingroia, il "Movimento 5 Stelle" e Silvio Berlusconi
che correrà per un non meglio precisato centrodestra.
Rimandando
le analisi specifiche ad altra sede, la cosa più "divertente" sarà
vedere come si sposteranno le alleanze, tra un centro che non esiste e un
centrosinistra in bilico tra l'appoggio a Monti e quello alle sue politiche, un
centrodestra che vive nell'ombra di Berlusconi e un elettorato sempre più
stanco. Come in Germania l'unica previsione possibile a livello di seggi è la crescita
esponenziale dei partiti estremisti, come risposta dell'elettorato alla
sostanziale infermità mentale della politica nazionale di fronte agli interessi
dell'Europa e delle lobby finanziarie - che ci sono scarsissime possibilità
muti.
Aprile:
elezioni in Islanda, G8 a Londra dei ministri degli Esteri
Non
sarebbe interessante parlare dell'Islanda, che ha meno di 320mila abitanti, se
non fosse che si è resa protagonista di una rivoluzione finanziaria senza
precedenti. Dopo aver deciso di non aiutare le Banche che ne avevano provocato
la crisi, il popolo Islandese ha nominato una "Consulta
Costituzionale" composta da docenti universitari, avvocati, giornalisti -
ma anche un sindacalista, un contadino, un pastore e un regista. Sulla bozza
stilata dalla Consulta è stata aperta una discussione durata più di un anno
attraverso internet per raccogliere le opinioni degli islandesi. La
Costituzione che ne è nata è ora al vaglio del parlamento che dovrà approvarla
entro le elezioni di primavera.
Chiunque
vinca le elezioni del 27 aprile in Islanda, la cosa davvero interessante è
vedere cosa ne uscirà subito prima in termini Costituzionali (e democratici):
l'Islanda sarà l'unico Paese ad averne una nata in modo collaborativo tramite i
Social Network. In più avrà dato un'ulteriore grossa lezione al mondo intero:
non solo resistere agli avvoltoi dell'economia internazionale si può, come si
può mantenere la coesione sociale evitando la triste "guerra tra
poveri" per un posto di lavoro; si possono imporre regole alla speculazione
finanziaria e riuscire a non gravare le casse pubbliche di debiti non contratti
dai cittadini ma dalle Banche. Chiaramente, a patto di esercitare la propria
sovranità.
Giugno:
elezioni in Iran, G8 in Irlanda del Nord
Si torna
alle urne in Iran, tra le pressioni internazionali per il programma nucleare e
un'economia che si regge soprattutto sulle esportazioni, soprattutto di gas e
petrolio.
A tali
elezioni, e all'atmosfera da campagna elettorale che ne consegue, sarebbero
legati gli ultimi provvedimenti del governo di Teheran, capeggiato da
Ahmadinejad. Da una parte è stato approvato un nuovo codice di abbigliamento
grazie al quale le donne non saranno più obbligate a portare lo chador,
dall'altra si è inasprito il rapporto con, in sostanza, gli USA e l'UE. La
"minaccia" è presto detta: se verranno applicate sanzioni economiche
all'Iran per bloccarne il programma nucleare, civile o militare che sia,
Teheran chiuderà il passaggio attraverso lo stretto di Hormuz. E, si badi bene,
quello stretto è interessato praticamente da sempre da un enorme transito
commerciale.
Insomma,
al momento le navi iraniane si esercitano nello stretto, Teheran mostra di aver
imparato anche a fare la guerra informatica diffondendo notizie sulle proprie
esercitazioni in merito, e le donne possono mettere qualcosa di meno
costrittivo di uno chador. Si tratta di tutto quello di cui sembra abbia
bisogno la classe media iraniana: distenzione interna e inasprimento con un
esterno che, a conti fatti, nel bene e nel male, cerca in tutti i modi di
controllare la politica di Teheran. In ogni caso, chiunque vinca le elezioni,
sarà difficile che tale politica subisca un brusco cambiamento, a patto di non
deporre la Guida Suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, in carica
dall''89 e principale sostenitore delle dimostrazioni di forza del Paese.
Staremo a vedere.
Luglio:
la Croazia entra nell'UE (forse)
Il 1°
luglio è la data designata per l'ingresso della Croazia nell'Unione Europea.
Il
"forse" è d'obbligo, viste le critiche della Germania e della Francia
su tale accesso - e anche quelle che pian piano i cittadini croati stessi
cominciano a sollevare.
Chiaramente
la Croazia è un Paese con difficoltà economiche simili a quelle dei Piigs: la
disoccupazione è quasi pari al 18% e il debito pubblico è pari al 102% del Pil.
Ma all'Europa non sembra importare troppo: quello che le preme è che Zagabria
proceda alle "urgenti riforme strutturali" che, a parole, le possano
dare una maggiore stabilità economico-finanziaria. Resta da chiarire, a questo
punto e alla luce di quello che sta accadendo proprio all'interno dell'Ue,
quali siano i motivi per cui la Croazia ci tenga così tanto a farsi accettare e
questo anche se prima del 2015 di Euro non se ne parla nemmeno.
Settembre:
elezioni in Germania e in Norvegia
Cominciamo
col dire che molto probabilmente, e purtroppo, (anche) in Europa non cambierà
un bel niente. Le elezioni, che comunque per decenni non hanno significato
nulla per i popoli che le hanno celebrate, stavolta sono palesemente superflue.
Almeno nella misura in cui l'Unione Europea continuerà a dettar legge su tutti
i Paesi membri, ormai ridotti a semplici organi periferici. E ancor di più se
si riuscirà, come si è fatto finora, a convincere le popolazioni che il tipo di
politica economica che le sta rovinando è "necessaria",
"improrogabile" e "inevitabile".
Detto
questo, la Merkel, che pure è tra le prime fautrici della politica europea (e
statunitense) non ha molto da festeggiare. Finchè mostrava i muscoli ai Paesi
meno "virtuosi", come noi, e la Germania sembrava un'isola felice
inattaccata dalla crisi, era osannata nonostante i tagli alle pensioni e al
welfare. Poi cominciarono le manifestazioni contro il governo, visto che la
popolazione soffriva anche se i conti reggevano. Ma anche per quest'ultima voce
era solo questione di tempo. Ora, alle porte del 2013, l'economia tedesca
rallenta. Il 40% del pil della Germania, aveva già avvertito quel
"brav'uomo" di Draghi, dipende dalle esportazioni dall'Eurozona, così
come il 65% dei suoi investimenti esteri. E chiaramente, con il resto
dell'Europa in crisi quando non in recessione, anche la Germania doveva
risentire della congiuntura economica, prima o poi.
Grossi
problemi in arrivo dunque anche nell'area tedesca, che però Roubini - tra gli
economisti che previdero l'avvento della crisi già nel 2006 - valuta in maniera
poisitiva per la ricerca di una politica comune agli Stati Europei, a questo
punto tutti nelle stesse condizioni, per la sua soluzione.
La
realtà? A sfidarsi saranno Angela Merkel e Peer Steinbrück, che fu suo ministro
delle Finanze nelle fila del Spd. Sostanzialmente due proposte simili: la linea
politica di Steinbrück è in sintonia con la destra e con la stessa Merkel.
Quelli che potranno portare un minimo di innovazione in Parlamento sono i
partiti e i movimenti estremi che, non a caso, sono gli unici cui si prevede
una crescita: verdi, comunisti e piraten. Partiti che, se avranno i numeri e la
volontà di farlo, porteranno il Paese a una ingovernabilità totale, opponendosi
alla politica tedesco-europeista.
Ottobre:
G20 dei ministri delle Finanze a San Pietroburgo
lunedì 7 gennaio 2013
giovedì 3 gennaio 2013
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