giovedì 21 luglio 2011

Alla base dell'Everest

La foto è di Alex Treadway, National Geographic
Si tratta del campo base per le partenze verso una delle cime più affascinanti del mondo: l'Everest. 

Il monte è chiamato Chomolangma (madre dell'universo) in tibetano e Qomolangma (珠穆朗瑪峰 pinyin: Zhūmùlǎngmǎ Fēng) in cinese. Il nome nepalese è Sagaramāthā (सगरमाथा, in Sanscrito "dio del cielo").

Con i suoi 8.848 metri è la vetta più alta della Terra. Un posto che solo a pensarlo fa paura, fa salire l'adrenalina. Ed è per questo che è più facile pensare al campo base, al posto dal quale partire per scalare la vetta. Il posto dove ha inizio l'impresa che, in quanto tale, ha un fascino tutto particolare: il fascino del volgersi a guardare la strada appena percorsa.

Il monastero più alto del mondo è proprio qui, in Tibet, alle pendici del monte Everest. Ma oltre, verso la cima, si è soli.

Prima casa: ritorna l'Irpef


mercoledì 20 luglio 2011

LA RIVOLUZIONE ISLANDESE del 2011 - God bless Iceland

Moon - un film di Duncan Jones

Un thriller psicologico di indubbio valore


Trentatrè giorni. Tanto è bastato a Duncan Jones per confezionare, nel 2009, "Moon" un thriller psicologico e fantascientifico. E un solo attore, Sam Rockwell, alle prese con una base lunare su cui dovrà rimanere per tre anni prima di poter tornare sulla terra dalla propria famiglia. Accanto a lui Gerty, un robot tuttofare programmato per aiutarlo nei suoi compiti. 

La solitudine di Sam è quella dell'uomo, disumanizzato dallo sfruttamento economico esteso ormai anche dei corpi celesti, e la sua ricerca di sè, il suo attaccamento alla speranza di avere un futuro diverso, di poter tornare a casa e riabbracciare la propria famiglia, è l'unica cosa che lo tiene in vita, che gli permette di resistere al tempo sempre uguale, scandito dai soli ritmi del lavoro. Per poi, alla fine, rendersi conto di non avere futuro e nemmeno un passato, ma solo un triste e breve presente davanti a sè.
Bello, coinvolgente e profondo, "Moon" è la prova di come si possano fare film di fantascienza degni di questo nome senza spendere cifre folli, se c'è una buona idea e delle professionalità di rilievo a lavorarci: il film è stato girato interamente in uno studio in Inghilterra ed è costato 5 milioni di dollari. Nulla, se si pensa che lo stesso anno "Star Trek" ne è costati ben 150.

martedì 19 luglio 2011

Dollar Crash May Be Imminent

Braquo - una serie di Olivier Marchal


Chi dice che le serie tv, soprattutto poliziesche, le sanno fare solo gli americani, 
non si è mai imbattuto in Olivier Marchal


Braquo è una serie dura e passionale che niente ha che vedere con la robetta edulcorata che produciamo in Italia, come "Distretto di polizia", tanto per fare l'esempio più conosciuto, dove sembra più di seguire una famigliola da Mulino Bianco che un gruppo di professionisti della difesa del territorio. Soprattutto, però, Braquo non ha nulla da spartire, e da invidiare, alle serie americane ben più famose e fortunate di quelle nostrane. Serie che, di solito fatte benissimo, hanno comunque quel non so che di "americano" che, inutile negarlo, al pubblico europeo un po' disturba. 

In Braquo non c'è nessun eroe patinato, nessuna lolita, nessun personaggio super sexy o rispondente agli ipocriti canoni morali tutti americani che ci sorbiamo da anni. Insomma, siamo lontani da Hollywood. 
L'atmosfera è cupa e quasi decadente, e la durezza delle situazioni e dei personaggi è tutta umana. Le loro interazioni sono di una solidarietà lontana dagli stereotipi che rende più vicini a noi i personaggi, nonostante si tratti di un gruppo che opera al limite, e a volte anche oltre esso, della legalità. Storie di vite dannate che hanno l'urgenza dell'inevitabile, della necessità di fare la scelta "più giusta possibile", fregandosene delle conseguenze, ma non senza dissidio. Eppure questi personaggi non sono aridi: hanno le loro storie d'amore e d'odio come tutti, ma le vivono come tali, senza ammennicoli da serie Harmony.

La serie è inoltre una prova di recitazione, sceneggiatura e regia di alto livello. Ed è il caso di ricordare, accanto al nome di Olivier Marchal, quelli di Jean-Hugues Anglade, Nicolas Duvauchelle, Joseph Malerba e Karole Rocher, i protagonisti della serie, tutti provenienti da esperienze artistiche di livello, non semplicemente usciti dal cappello di qualche sedicente produttore.
Ed è davvero il caso di dire inoltre che, qui, le parole, come le inquadrature, "sono pietre". Pietre di un certo peso, che investono aspetti importanti della vita di ognuno, che lasciano riflettere sull'opportunità di agire o meno dei personaggi, su da che parte stia il bene e il male.

Ce ne fossero di serie così in Europa, finalmente lasceremmo agli americani le loro cavolate alla James Bond che servono solo a farsi quattro risate. Ma non a riflettere. 

domenica 17 luglio 2011

I segreti della casta di Montecitorio


Premetto che sto seguendo il blog che, anche se privo di analisi, mette insieme una serie di notizie sui privilegi dei parlamentari e una serie di deduzioni interessanti che può fare solo chi a Montecitorio c'è vissuto, che è difficile trovare tutte insieme.
Ma il fenomeno in sè, l'apertura della pagina facebook, l'immediata valanga di iscrizioni e la successiva apertura del blog, è esemplare. E merita una riflessione.


Punto primo: tutto questo significa che la gente non sa quali siano i privilegi dei politici. Non dico solo quelli "illegali" legati a una loro interpretazione estensiva o a una vera e propria applicazione a ambiti e situazioni che ne sarebbero esclusi. Parlo anche di quelli che spettano loro per legge. Una legge troppo spesso al servizio della casta politica ma pur sempre una legge, e dunque di pubblico dominio. 
Più probabilmente non se ne ricorda. Quanti articoli e quanti servizi sono stati fatti sulle spese delle Camere per bar, pranzi, barbieri, voli di Stato più o meno giustificati eccetera eccetera? A migliaia. Ma ogni volta l'italiano legge, quando legge, e si indigna lì per lì per poi tornare come nulla fosse davanti alla tv, a guardare la partita di Champions o a fare shopping nell'ultimo centro commerciale, o convinto che "tanto non si può fare niente" oppure in ogni caso consolato dal proprio misero menage quotidiano. 
Male, malissimo. Si tratta di un atteggiamento che va a favore dello status quo, che tranquillizza le caste politiche ed economiche sicure che qualsiasi notizia trapeli sulle proprie malefatte, più o meno coperte dall'uso truffaldino della legge, sarà dimenticata il giorno dopo dall'elettorato, sempre pronto a mettere quella crocetta che dà loro la possibilità di spartirsi la torta del potere, di anno in anno, e di continuare ad agire senza conseguenze.


Punto secondo: tutto questo mette in luce l'aspetto opportunistico del comportamento dell'italiano in genere. Senza nulla togliere al valore divulgativo delle denunce dell'anonimo autore del blog e della pagina facebook in oggetto, bisogna anche dire che quello che è trapelato della sua identità da una parte dà maggior valore al suo dire, dall'altra lascia riflettere. 
Chi è e perché ha alzato questo vespaio solo adesso? Pare si tratti di un ex precario che ha lavorato a Montecitorio per 15 anni e che adesso è stato licenziato. Chiaramente l'essere stato a contatto per tanti anni con l'ambiente parlamentare gli ha dato la possibilità di osservare i comportamenti e di tirare le somme su come la casta politica sprechi i nostri soldi. D'altra parte però il fatto che parli adesso, dopo il licenziamento e non prima, fatto che, sia ben chiaro, nulla toglie alla sua dignità di testimone, dà adito a una riflessione. Quanta gente lavora a Montecitorio? E perché non solleva mai questioni sulla gestione dei privilegi dei politici e non solo, visto che si parla anche di altri tipi di professioni ben remunerate, dal parrucchiere all'usciere? 
La risposta potrebbe essere tanto semplice quanto dura da digerire. Chi lavora a contatto con questi privilegiati, e magari riesce a chiedere favori, chi guadagna in media molto più di quanto guadagnerebbe fuori di lì con il proprio lavoro, e riesce a non perderlo, non avrebbe alcun interesse a che la popolazione si ribelli alla casta politica ed economica al potere. Potrebbe in tal caso rischiare di perdere la propria piccola soddisfazione di vivere delle briciole del privilegio, e di suscitare l'invidia di tutti quelli che non hanno invece alcun accesso all'ambiente parlamentare. Per questo tacerebbe, nella speranza di poter un giorno fare la stessa cosa, scattare di grado e guadagnare di più, guadagnare qualche favore da qualche uomo di potere, aiutare un parente a trovare un posto di lavoro. Che sia giusto o meno, nell'intima convinzione che chiunque altro, al proprio posto, farebbe lo stesso. 


E allora, con una cittadinanza così, o distratta o omertosa, che speranze abbiamo di uscire dal pantano?


Si tratta di supposizioni, per carità. Ma sfido chiunque a trovare una deduzione sul caso meglio supportata dalla logica di questa.

martedì 12 luglio 2011

Il pubblico impiego

Senza parlare dei problemi più comuni del pubblico impiego, dei concorsi truccati, di amici e parenti di politici e amministratori pubblici sistemati in posti di lavoro di favore, c’è da chiedersi cosa succede se, anche in una situazione di gestione legittima, lo Stato non ha più i soldi per pagare. Se, ad esempio, deve dichiarare un esubero di 300 mila lavoratori pubblici.

Che le nostre finanze barcollino di fronte alla crisi economica, e non solo, non è un segreto. Esattamente come non lo è l'inefficienza delle misure da sempre adottate in questo Paese per far fronte alle difficoltà economiche. Soprattutto perché i privilegi delle caste politiche ed economiche, delle corporazioni e delle lobby di potere non vengono mai modificati, se non al rialzo.

E così, mentre gli stipendi dei lavoratori, anche pubblici, diminuivano, quelli dei politici aumentavano; mentre le banche guadagnavano miliardi con operazioni al limite del legale, i cittadini si facevano carico anche del loro default pagando in tasse e tagli ai servizi.

E domani?