mercoledì 23 maggio 2012

La mafia e i mafiosi

Vent'anni. Tanto è passato dal giorno in cui persero la vita Giovanni Falcone, sua moglie il magistrato Lucia Francesca Morvillo e tre agenti in scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Piena la cronaca di ricordi di quel giorno. In onda il discorso di Giorgio Napolitano, con tanto di lacrime, il richiamo alla lotta alla mafia e alla necesità di non dimenticare.

Eppure, lontani dalla retorica di questi giorni, che vedono ancora più imbellettati i leader di partito all'indomani dell'attentato di Brindisi e del calo di affluenza alle amministrative, abbiamo ben dimenticato cosa significhi fare la lotta alla mafia. Meglio ancora, abbiamo cominciato a considerarla confinata in una certa organizzazione a delinquere, e in un certo territorio, senza considerare che la piovra estende i suoi tentacoli fino ai vertici dello Stato, per crescere e sopravvivere, senza pensare che se non di "Mafia" di "mafioso" si può parlare in tutta una serie di comportamenti politici, economici, personali con i quali dobbiamo fare i conti tutti i giorni.

La Bce, gli USA e l'Ue si muovono insieme, in connivenza con le banche, tiranneggiando su interi Stati e popolazioni, in accordo con parlamenti senza spina dorsale. L'informazione è ammutolita e stupida di fronte agli avvenimenti. Molti "giornalisti" lo sono inconsapevolmente: non danno le notizie non perchè non vogliano farlo, ma perchè non le capiscono nemmeno loro. Sono anche loro figli di questa società, che nasconde e raggira, donando solo l'illusione della giustizia e della legalità in cambio dell'eterna ignoranza.
La politica, quella con la p minuscola, si nutre delle illusioni dell'elettorato, passando da uno scandalo all'altro, chiamando così ciò che scandalo non è: è ormai normalità. Figli inseriti in amministrazioni pubbliche senza merito, soldi sottratti alla pubblica utilità, stipendi da capogiro, assunzioni inutili a scapito delle casse statali.

Leopoldo Franchetti, politico e studioso classe 1847, disse una volta: «La Mafia è un sentimento medioevale; mafioso è colui che crede di poter provvedere alla tutela e alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercé il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall'azione dell'autorità e delle leggi».

E in questo senso in Italia e non solo, intendendo per "autorità" e "leggi" anche qualcosa che va al di là di quelle contingenti, siamo tutti "mafiosi".

Sara Santolini

giovedì 10 maggio 2012

Monti e il 'vizio' del debito che cresce a ritmi record

Sembra che il premier chiamato a risolvere il problema del debito stia fallendo miseramente nel suo intento: una ricerca condotta da Adusbef e Federconsumatori mostra infatti che il debito pubblico italiano sta crescendo a ritmi record. Ma questa, per Mario Monti non è una novità. Basta andare un po' indietro negli anni per scoprire il vizio del debito, il premier l'ha sempre avuto. (da ilcambiamento.it)

di Andrea Degl'Innocenti

Monti e il debito. C'è qualcosa che lega indissolubilmente il nostro premier al debito sovrano del nostro paese. Nonostante questi si lanci in critiche, accuse, moniti; nonostante dipinga il debito come una divinità malvagia da sconfiggere a tutti i costi, al cui altare è necessario sacrificare diritti sociali e di cittadinanza, salute, istruzione e in qualche caso persino la vita, ogniqualvolta egli si trovi in posizioni di potere il mostro prolifera come non mai.
Sono dati di qualche giorno fa quelli raccolti da Adusbef e Federconsumatori, che certificano che il governo Monti detiene record dell’esecutivo che, negli ultimi 15 anni, ha registrato la crescita mensile del debito pubblico maggiore: 15,4 miliardi. Roba da far impallidire persino Berlusconi. Da febbraio 2011 a gennaio 2012 il debito è passato da 1.875,917 euro a 1.935,829, con un aumento di 59,912 miliardi. E continua a crescere. Sotto l'attuale governo, ogni minuto che passa il nostro debito aumenta di 360mila euro. E non è la prima volta che Monti combina scherzi di questo tipo.
Più volte il premier Mario Monti si è mostrato piuttosto duro con i suoi predecessori. Proprio oggi li ha accusati, nientemeno, di avere sulla coscienza l'ondata di suicidi e la carneficina sociale attuali. “Le conseguenze umane” della crisi, ha affermato, “dovrebbero far riflettere chi ha portato l'economia in questo stato e non chi da quello stato sta cercando di farla uscire. Lo stato negativo e per certi versi drammatico dell'economia italiana è figlio di una insufficiente attenzione prestata in passato alle scelte di lungo periodo per le riforme strutturali”.
Giusto. Eppure, se torniamo un po' indietro nel tempo a vedere quali sono stati i governi, prima dell'attuale, a causare una maggiore crescita del debito, vediamo che un altro record spetta a Giulio Andreotti, nel doppio mandato dal 1989 1992. In quel periodo il debito passò da 553 miliardi circa di euro (attualizzati ad oggi) a 799 miliardi. Un incremento di 246 miliardi, il 44,53% in tre anni, fra i record assoluti della storia della Repubblica italiana. Anche volendo confrontare il dato con la relativa crescita del pil, l'aumento resta comunque impressionante, di circa il 13 per cento nel rapporto debito/pil. Ai tempi il ministro del bilancio era Cirino Pomicino, detto 'o ministro. E indovinate chi fu il suo maggiore consulente in ambito economico? Già, proprio il nostro Mario Monti.


Ma non è ancora finita. Torniamo più indietro negli anni, e andiamo al 1981. È l'anno dello storico divorzio fra Tesoro e banca d'Italia. Fino ad allora la banca centrale era obbligata a comprare i buoni emessi dal tesoro, e lo faceva a tassi agevolati. In seguito lo stato fu costretto a mettere le proprie obbligazioni sui mercati finanziari, con interessi che dipendevano dalle leggi del mercato di domanda e di offerta.
Ad ogni modo, proprio in quell'anno ci si trovava a dover decidere le nuove strategie di finanziamento dello stato. Ed ecco rispuntare il nome di Mario Monti, allora giovane e rampante economista. Ecco, di seguito, come ricostruisce la vicenda il Generale Piero Laporta in un articolo per Italia Oggi.
“Nel giugno 1981, una commissione di studio, presieduta da Paolo Baffi, direttore generale di Bankitalia, deliberò di seguire lo schema d'un giovanotto, molto stimato dai Rothschild, tale Mario Monti, il quale propose l'emissione di titoli a lungo termine, con aste mensili e quindicinali, in modo che il rendimento cedolare fosse fissato dal mercato, con scadenze tra i 5 e i 7 anni. Il che, a detta del professorino, garantiva il potere d'acquisto e, secondo gli esiti delle aste, un piccolo rendimento dell'1-2%. Il Tesoro, zufolò Monti, avrebbe avuto da 5 a 7 anni per programmare e finanziare meglio la spesa pubblica.


Non andò così. Gli interessi sul credito che veniva concesso furono fin da subito enormi, e il deficit italiano balzò immediatamente alle stelle, tanto che si resero necessarie nuove tasse. “Aumentarono tasse e benzina – continua Laporta -, le spese sanitarie sfondarono di mille miliardi di lirette il finanziamento statale”. Un altro disastro insomma.
Eppure, a dispetto del suo curriculum (a dire il vero piuttosto difficile da rintracciare), Monti è chiamato oggi a risanare il debito. E, a dispetto dei risultati passati e presenti (e - è lecito temere – futuri) gode di una stabile maggioranza parlamentare e in molti sono ancora convinti che stia lavorando bene, che i sacrifici da lui richiesti siano necessari e così via.

lunedì 7 maggio 2012

Disoccupazione ai massimi storici

Se avete pensato che la crisi di questi anni è stata durissima, aspettate di vedere cosa succederà in quelli a  venire.


La notizia peggiore in assoluto è quella relativa alla disoccupazione, che è ormai ai massimi storici nel nostro Paese. Soprattutto è una cattiva notizia l'incidenza sui giovani, la cui disoccupazione sfiora il 36%. Questo dato significa che non ci saranno a breve nuovi nuclei familiari, e i giovani d'oggi non avranno un futuro da costruire, con tutto quello che ne deriva in termini di stabilità sociale. Inoltre il dato negativo è nella realtà ancora peggiore: nel novero dei disoccupati non ci sono le persone che cercano un'occupazione senza rivolgersi alle Agenzie del lavoro. E c'è da credere che in parecchi abbiano perso la speranza di venir chiamati e si muovano spulciando gli annunci sui giornali o su internet.

La situazione è grave soprattutto se confrontata con l'aumento di suicidi per "motivi economici", che vanno di pari passo con i licenziamenti con la stessa causa. E questo soprattutto in attesa della reazione - - della popolazione ai tagli ai servizi, alle pensioni, al reddito, ai posti di lavoro.

Ecco la notizia ANSA:

Il tasso di disoccupazione a marzo è al 9,8%, in rialzo di 0,2 punti percentuali su febbraio e di 1,7 punti su base annua. E' il tasso più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Lo rileva l'Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Guardando le serie trimestrali é il più alto dal terzo trimestre 2000.

Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a marzo è al 35,9%, in aumento di due punti percentuali su febbraio. E' il tasso più alto dal gennaio 2004 (inizio delle serie storiche mensili). Lo rileva l'Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Guardando le serie trimestrali é il più alto dal quarto trimestre 1992.

Quindi, risulta disoccupato oltre un giovane su tre tra i 15-24enni attivi, ossia coloro che hanno un lavoro o lo cercano (forza lavoro).

Il numero dei disoccupati a marzo è di 2 milioni e 506 mila, in rialzo del 2,7% su febbraio. Lo rileva l'Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Su base annua il rialzo è del 23,4%. E' il livello più alto da gennaio 2004 (inizio serie storiche mensili). Con riferimento alle serie storiche trimestrali è record da IV trimestre 1999.

Il numero dei disoccupati a marzo è aumentato su base annua di 476 mila unità (+23,4%) e su base mensile di 66 mila. Il dato annuale risente dell'aumento delle persone sul mercato del lavoro, gli inattivi tra i 15 e i 64 anni, infatti, sono diminuiti di 427.000 unità.

A marzo gli occupati sono 22 milioni e 947 mila, in diminuzione dello 0,2% su febbraio, ovvero 35 mila unità in meno, e dello 0,4% rispetto a marzo 2011, pari ad un calo di 88 mila unità. Il risultato è determinato dal calo dell'occupazione maschile.

A marzo il tasso di occupazione è pari al 57%, in lieve calo, di 0,1 punti percentuali, in termini congiunturali e in flessione di 0,2 punti su base annua. Lo rileva l'Istat (dati destagionalizzati e provvisori). Risultano anche in diminuzione gli inattivi (15-64 anni), ovvero le persone che non sono né occupate né in cerca di lavoro: il calo è dello 0,3% (-40 mila unità) su febbraio, con il tasso di inattività che si posiziona così al 36,7%, con una flessione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,1 punti su base annua. Da questi dati emerge come l'aumento del numero di disoccupati e del relativo tasso deriva principalmente dal fatto che coloro che prima erano inattivi ora si sono in cerca di un lavoro. Mentre il calo dell'occupazione è meno accentuato, anche, perché, probabilmente, facendo riferimento agli ultimi dati trimestrali, gli occupati adulti restano più a lungo a lavoro, sia per l'allungamento della vita media che per gli interventi sul sistema pensionistico.

Il tasso di disoccupazione maschile cresce di 0,3 punti percentuali su febbraio, portandosi al 9,0%; quello femminile segna un aumento di 0,1 punti e si attesta all'11,0%. Rispetto all'anno precedente, quindi, il tasso di disoccupazione maschile sale di 1,6 punti percentuali e quello femminile di 1,9 punti. La crescita della disoccupazione interessa così sia gli uomini sia le donne. In particolare, gli uomini disoccupati salgono del 3,9% rispetto al mese precedente e del 23,4% su base annua; il numero di donne disoccupate aumenta dell'1,3% rispetto a febbraio e del 23,4% in termini tendenziali.