giovedì 11 dicembre 2014

ANTIPOLITICA: EVERSIONE AL POTERE

Antipolitica. Una parola che rappresenta tutta la carica emotiva contro i giochi di palazzo venuti alla luce - o meglio balzati all'onore delle cronache - in questi anni. E che, soprattutto, porta in sè un colpevole travisamento di significato.

Quando Napolitano ne parla però non si può pensare lo faccia senza capire la differenza tra ciò che vuole fare intendere e quello che dice veramente. Un discorso, quello all'Accademia dei Lincei, misto di paternalismo e nazionalismo che richiama alla responsabilità il popolo italiano reo di essersi fatto trascinare in un vortice di eversione "antipolitica". E così il Presidente più longevo della storia d'Italia, quando dice che "la crisi in atto ha segnato un grave decadimento della politica, contribuendo in modo decisivo a un più generale degrado dei comportamenti sociali, a una più diffusa perdita dei valori che nell'Italia repubblicana erano stati condivisi e operanti per decenni" dà per assodato che il Parlamento non sia in mano ai partiti politici, istituzioni private a fini prettamente personali che mantengono, distribuiscono, piegano e utilizzano il potere e i relativi benefici in termini privati che ne possano derivare - in buona parte, ma non solo, economici.

"Da troppo tempo - dice ancora Napolitano - si colpisce impunemente il funzionamento degli istituti principali della democrazia rappresentativa, non solo si stracciano in un solo impeto una pluralità di valori tradizionali o comunque vitali, ma si configura la più grave delle patologie con cui siamo chiamati come Paese civile a fare i conti: quella che penso possiamo chiamare la patologia dell'anti-politica". Napolitano invoca dunque "una larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell'anti-politica". Due concetti con i quali, fuori contesto, si può essere d'accordo, eccome: intendendo con la parola "politica" l'amministrazione della cosa pubblica a favore della collettività e dunque con "antipolitica" tutto quello che la mistifica, senz'altro sarebbe utile un repulisti che possa dare "ragionevoli speranze per il futuro dell'Italia" - frase utilizzata invece dal Presidente additando l'opposizione parlamentare, che pure troppo spesso risponde alle solite logiche di contrattazione tra partiti, come fautrice di "cieche spirali di contrapposizione faziosa" che bloccano il lavoro del Parlamento. Ebbene in questo nuovo sistema di significato proprio di quella mobilitazione contro la vera "antipolitica" bisognerebbe farsi carico.

giovedì 7 agosto 2014

IL VALORE DEL "LAVORO"

Recessione! Recessione! Ormai il coro è unanime, nonostante non sia di oggi la previsione del crollo, inevitabile, del Paese. Un allarme fittizio e ritardato che farà da preludio a una manovra, anche quella più che prevedibile da inizio anno, che anche stavolta venderanno per "necessaria e obbligatoria per far fronte all'emergenza". Emergenza: altra parola un po' troppo usata dalle nostre parti, per le alluvioni, i restauri, i terremoti di decenni prima, la gestione ordinaria dei rifiuti.

A questo punto una riflessione è d'obbligo, anche per quelli che fino a ieri hanno preso per pazze le Cassandre della recessione. Comincerei dal piccolo, e mi fermerei lì, che la vita del singolo, seppure condizionata dalle grandi manovre economiche e politiche, si alimenta di piccole scelte, possibilità e obblighi, tra necessità e libertà.

Qualche giorno fa mi chiama il commercialista e mi chiede di versare all'istituto di previdenza un 50% in più per poter arrivare ai 12 mesi di contribuzione, vista la mia assenza dal lavoro (3 mesi) per la maternità. Non ci ho messo che qualche frazione di secondo a rispondere che non l'avrei fatto: giusto il tempo di capire - non potevo crederci - cosa stava chiedendo. Sostanzialmente soldi in più da un già misero reddito per una pensione che non vedrò mai.

Ecco, se a livello prettamente economico ci sono cose che già non "tornano" più, il rischio - per il sistema sia chiaro non per noi - è che a un certo punto si riesca a trovare una alternativa, quella che si continua a cercare, visto il malessere che impera. Un'opportunità concreta che traduca in fatti e che porti alle sue estreme conseguenze tutta la teoria della decrescita, del distacco dal sistema, della dittatura del lavoro. Perchè, inutile nascondersi, anche se derivata dal mercato, sempre di dittatura si tratta. E ogni dittatura che si rispetti ha dei sudditi più o meno consapevoli: i singoli cittadini. Chi può fare a meno del lavoro alzi la mano. Anzi, scagli la prima pietra su chi del lavoro ha fatto - pur sbagliando clamorosamente - la sua vocazione.

Il primo passo è quello di liberarsi dal concetto del "lavoro", inteso come attività salariata, come valore. Le parole hanno il loro peso: dovremmo smetterla di identificarci con queste attività. Una donna che sa dipingere e che è madre di tre bambini bisogna identificarla con la parola "personale delle pulizie" se è quello che fa per vivere? Uno straniero la cui laurea in medicina dove vive non vale niente perchè non equiparata, che cura gratis la gente del suo quartiere ma che per soldi scarica le cassette di verdura al mercato rionale siamo sicuri sia giusto identificarlo con questa attività? O ancora, un manager affermato e ricco che paghi qualunque cosa a caro prezzo, da chi gli fa favori a chi gli dà consigli, dall'amicizia all'amore, siamo sicuri possa essere definito "di successo"?

La sfida non è sognare un mondo diverso, in cui si possa avere tutta la giornata libera dal "lavoro", è riuscire ad averla senza sbattere la testa al muro perchè non si sa cosa dare da mangiare ai propri figli. Questa è la difficoltà, perchè non lavorare e sbeffeggiare chi lo fa quando, per fare qualche esempio, si può contare su mamma e papà o su una rendita o anche su un buon gruzzoletto messo da parte, insomma quando si ha "il culo parato", non è vera ribellione. E' semplice, invidiabile e condivisibile, opportunismo. E in ogni caso una cosa è avere del tempo liberato, un altro paio di maniche è sapere cosa farne. Insomma, forse chi considera a ragione il lavoro una schiavitù, ma non lavora perchè vive grazie a rendite create dai meccanismi di mercato, e utilizza il tempo che ha liberato dal lavoro per attività proprie di chi nel sistema è ben incastonato - giri al centro commerciale, giochini su facebook e via dicendo - non è più ribelle di chi, tanto per dire, ha potuto approfittare del sistema nel passato, che so andando in pensione a 40 anni, e grazie a questo gira il mondo in barca.

La sfida al sistema, quello che davvero lo farebbe andare in tilt, è riuscire a vivere senza soldi. O almeno con meno soldi possibile, meglio ancora senza alimentare alcuna industria, riutilizzando e aggiustando e soprattutto comprando il meno che si può. L'impresa è a dir poco ardua: qualsiasi cosa è ormai legata alla compra-vendita, non esiste quasi più l'ospitalità, quasi chiunque abbia "una stanza in più" cerca di sfruttarla se può come fonte di guadagno cercando di attirare turisti facoltosi, non "poveracci" in cerca d'avventura. Ancora, è difficile avvalersi dello scambio di beni, peggio ancora se si parla di tempo o servizi, tranne che all'interno di circoli limitati e organizzati che, seppure funzionali, rappresentano solo una goccia nell'oceano. Anzi, nel deserto.

Sara Santolini

sabato 12 luglio 2014

L'INCOSCIENZA “PERICOLANTE”

Ci sono volte in cui nemmeno “sbattere la notizia in prima pagina” può bastare. Quante volte chi non si ferma alla prima pagina dei quotidiani più quotati si sente un pesce fuor d'acqua anche solo a parlare "del più e del meno" al bar sotto casa? Peggio ancora, quante persone si allontanano scrollando la testa dagli incontri in cui a parlare non è la propaganda politica ma una voce fuori dal coro, dell'Informazione con la “I” miuscola? E la tendenza non si esaurisce nel nostro giardino.
Sono anni che Alain de Benoist definisce l'Europa come incapace di definire la sua identità, pronta a uscire dalla storia per diventare un pezzo di storia altrui – quella statunitense. Il vecchio continente sarebbe "nell’utopismo e nell’incoscienza di sé" e la sua colpa in primo luogo quella di essersi dimenticato di essere potenza sovrana prima di un mercato a modello e guida degli Stati Uniti d'America. E non è ancora la cosa più grave. Era il 2010 quando Marco Della Luna scriveva “Oligarchia per popoli superflui” e teorizzava la nascita di una massa inutile per il sistema economico perchè non integrabile, disoccupata e, soprattutto, fuori dal meccanismo del consumo – vero agnello d'oro per le masse idolatre create a immagine e somiglianza del sistema di sviluppo nel quale siamo costretti a vivere. Si tratterebbe a conti fatti di tutti quelli che non hanno un reddito e la cui esistenza non è che un fastidio per la politica e l'economia. I più audaci teorizzano guerre o epidemie provocate ad hoc per far calare il volume di questa massa, i più smaliziati l’erogazione pubblica di sussidi minimi di sostentamento a livello necessario e sufficiente a perpetuare il sistema di consumo. In entrambi i casi una massa così impoverita avrebbe tutte le ragioni economiche per ribellarsi all'ordine costituito. La Storia insegna però che sono motivazioni culturali e sociali quelle che permettono di ribellarsi e prima ancora di riconoscere l'ingiustizia: ecco che la dittatura del mercato e dell'economia abbandona queste stesse masse, che ha privato di tutto il resto, alla loro incapacità di reagire. In pochi riconoscono le responsabilità del sistema economico e politico in vita in questo momento per la situazione che si sta palesando: anche la disoccupazione e l'indigenza vengono considerati semplici incidenti di percorso. Si dà la colpa al governo che è stato al potere il giorno prima, alle politiche Europee e anche a una crisi economica di cui non si comprendono a fondo le cause, convincendosi che presto o tardi "tutto si sistemerà", e soprattutto senza rendersi conto che fa tutto parte dello stesso puzzle: le leggi statali, l'Europa, le banche e lo Spread.
L'individualismo proprio del sistema capitalistico fa il resto: ognuno, dimenticandosi che di fronte a un mostro del genere si può sopravvivere solo in comunità, anela di partecipare alla cuccagna, spera in una “ripresa” che però al massimo permetterà di trovare un lavoro – per lo più salariato – al limite della sopravvivenza, sicuro che il sistema sia in qualche modo “giusto” e che il lavoro rimanga l'unico valore. La difficoltà di vedere è diventata cecità: non si riconosce alcuna alternativa al sistema attuale e, in mancanza di prospettive, non solo "l'utopia" che dà speranza, non solo la ribellione ma anche la stessa consapevolezza di vivere in un'ingiustizia sono impossibili. Non finisce qui: questa incoscienza è così diffusa che schiaccia, ridicolizza e avvilisce qualsiasi tentativo di riscatto – così come il sistema si difende da qualsiasi tipo di cambio politico che possa mettere a rischio le sue basi economiche, inserendolo nel mercato.
Intanto protagonista di una brutta pagina di cronaca è un ragazzino di soli 14 anni. Passeggiava in galleria, a Napoli, quando un cornicione è caduto sulla sua testa. Di certo non poteva sapere sarebbe accaduto. Qualcun'altro però si era sicuramente accorto – o comunque avrebbe dovuto – che si trattava di un grosso pezzo di marmo che sarebbe venuto giù, un giorno o l'altro. Forse ha pensato che la sorte avrebbe fatto in modo restasse lì, al suo posto. L'incoscienza generale, questa incredulità sullo stato delle cose, sulla nostra anche personale deriva culturale e sociale prima ancora che economica, questa abdicazione totale e incondizionata alle ragioni dell'economia lascerà che la “crisi” e la sua “politica” produca indisturbata i suoi effetti. E' quel cornicione lasciato lì, pericolante.

Sara Santolini

martedì 1 aprile 2014

Eppure qualcosa si muove (?)

Qualcosa si muove. Campeggia al centro delle testate giornalistiche e riempie le bocche degli editorialisti: il tasso di disoccupazione è, di nuovo, aumentato. 
E adesso, a febbraio 2014, siamo arrivati, cifra dopo cifra, record dopo record, al 13%. Un numero che nasconde 3,3 milioni di persone che, in soldoni, significano circa il doppio delle famiglie.

E allora perchè "qualcosa si muove"? Chi mi conosce lo sa: non mi darò a ridicole previsioni di ripresa, nè a previsioni del futuro intrise di un ottimismo che, in quando completamente scollato dalla realtà, non ha motivo - nemmeno psicologico - di aver seguito. 
Quel qualcosa che "si muove" è intorno a noi. Lontani da una vera e propria presa di coscenza, gli italiani stanno smettendo di ridere, di dividersi in fazioni belligeranti a favore di quella o l'altra politica. Spesso non sanno ancora come e perchè, ma si guardano intorno e vedono, si accorgono per la prima volta che c'è il deserto. 

Nel 2013 i suicidi per motivi economici - o meglio quelli la cui causa è stato accertato siano tali motivi - sono stati 149: uno ogni due giorni e mezzo. Come dire: giorni dispari, festivi esclusi. Poco prima del baratro, c'è la disperazione. A segnalarla i piccoli furti, quelli "per fame" che sono aumentati negli ultimi tre anni del 65% per 3 miliardi di merci portate via dagli scaffali dei supermercati senza passare dalla cassa. Proprio da quei supermercati che in qualche modo simboleggiano il consumo, il marketing, la produzione dell'inessenziale. La violenza aumenta, nei giovani come risposta alla mancanza di basi dalle quali crescere, negli adulti come sfogo di una rabbia senza padrone.

I politici fanno la loro, promettendo "più lavoro per tutti" ma nel contempo firmano per far avere agli italiani - quelli che non vengono costretti ad aprire partita iva - contratti traballanti nei quali in meno ore devono produrre sempre di più e, nemmeno a dirlo, a una paga più bassa. La ricetta, a vederla con gli occhi della decrescita, potrebbe quasi sembrare buona ma dovrebbe garantire un reddito minimo di sussistenza - cosa che già non accade nel 12% dei casi con i lavori "a tempo pieno", e la dignità e il rispetto dovuto a chi lavora, non il ricatto del mancato rinnovo del contratto a discapito della qualità e a favore di una quantità sempre maggiore di mansioni.

Eppure qualcosa si muove. I sindacati sbraidano contro l'ultimo decreto, Confindustria sorride sotto i baffi, il presidente di turno si prepara alla prossima campagna elettorale. Ma in numero sempre maggiore la gente si ferma a guardarli (ancora) e dentro di sè pensa: "...chiacchiere". 

Sara Santolini