mercoledì 18 febbraio 2015

IL CONDOTTO NERO CHE PORTA ALLA LIBIA

da ilribelle.com:

Ci sono delle regole che non ammettono eccezioni. “Segui il denaro” per capire le ragioni di certe politiche, che fa da corollario a un più specifico “segui il petrolio”, nel caso specifico odierno.
Senza voler essere esaustivi sulle problematiche della Libia, a proposito di “guerre utili”, seguire il filo nero dell’idrocarburo porta a leggere quello che è stato definito da più parti il “caos” libico come la creazione di una pagina bianca sulla quale poter scrivere un nuovo capitolo dell’imperialismo occidentale. Dopo i titoli d’effetto, i nomi in inglese dati ai decreti, l’uso di twitter e l’ostentazione di una cultura del web che si stenta a credere abbia davvero, Matteo Renzi cerca di imitare l’arte dell’occupazione “che non si vede” dagli Stati Uniti d’America. Tragedie in mare e barconi di immigrati clandestini, per quanto possano dare fastidio o al contrario provocare moti di solidarietà, non sono una ragione sufficiente a mobilitare mezzi e uomini (e soldi) verso la scatola di sabbia di Tripoli. Ma il petrolio, quello sì.
«State tutti sottovalutando la crisi di uno Stato che è ai confini della Ue e che non è solo un problema di migrazione clandestina, ma anche un terreno di conquista per la minaccia del terrorismo dell’Isis» – ha detto il nostro premier al Consiglio Europeo. «Non è una questione di sicurezza nazionale italiana, ma dell’intera Unione Europea». La soluzione? L’invio di forze di peace keeping italiane (si scrive "peace keeping" ma si legge "invasione di uomini e mezzi armati" certo non inviati al fine di distribuire caramelle ai bambini). D’altra parte già all’indomani dell’attentato di Parigi si era cominciato a preparare il terreno all’avvio di una guerra. E Hollande ha fatto in qualche modo eco a Renzi quando ha fatto uscire un comunicato nel quale dichiara – in solidarietà con al-Sisi, il Presidente egiziano che ha messo in atto una serie di ritorsioni belliche contro la Libia per l’uccisione spettacolo di 21 egiziani sulle spiagge libiche – quanto sia importante che “la comunità internazionale decida nuove misure”. Tutto dice: “guerra”.
E cosa c’entra l’Egitto? Rinsaldare il fronte interno, arrivare per primi sul territorio libico diviso e instabile forti dell'appoggio dell'alleato russo, proteggere e magari controllare il filo nero libico, appoggiare il governo "legittimo" contro i ribelli sono solo i motivi più evidenti. Fare la guerra in Libia per l'Egitto era solo questione di tempo, come dovrebbe esserlo per l'Italia che ha interessi molto simili a quelli egiziani e che ha ritirato la propria ambasciata forse proprio in vista dell'avvio di forze militari. L'Italia comunque non si muoverà da sola, presumibilmente per motivi soprattutto politici e per non irritare Obama: non l'ha fatto a Natale quando, incendiati dai ribelli i depositi petroliferi a Sidra, Tripoli ne invocò l'aiuto - e alla fine si rivolse a una società statunitense che ne guadagnò un contratto da sei milioni di dollari - tanto meno lo farà adesso.
L’Unione Europea tutta dipende in larga misura dal petrolio libico: l’85% del petrolio proveniente dalla Libia è venduto a Stati europei, prima fra tutti l'Italia, seguita da Francia e Germania. Certo ingaggiare una "guerra" è dispendioso, ma chissà che la Nato (leggi: gli USA) non voglia darci una mano: dal punto di vista statunitense la Libia è in posizione strategica per il controllo dell’Africa che il Pentagono esercita con AFRICOM, il commando nato nel 2008 a questo scopo  (l'unico Paese africano a non essere sotto la sua influenza è proprio l'Egitto). Terrorismo e petrolio sono i suoi pensieri fissi, filtrati per l'opinione pubblica con l'esportazione della democrazia, la creazione di forze di sicurezza da mantenere in loco e l'aiuto umanitario. Fin qui, tutto in regola. Se qualcosa c'è di "strano" è l'ufficiale silenzio della Cina - almeno per ora e supponiamo comunque non a lungo - che pure succhia petrolio dal deserto libico.
Sara Santolini

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