martedì 26 gennaio 2010

Andare a lavorare in treno

Ci sono momenti in cui mi fermo. Ora sì, ce ne sono. O meglio, ci sono momenti in cui il mio tempo è fermo.

Grazie al mio viaggio giornaliero in treno, soprattutto. Lo so bene che sembra un discorso da pazzi, ma a me il viaggio in treno piace. Forse anche perché dura poco, per carità, e perché non lo faccio nelle ore di punta. Mi aiuta a prendere tempo, a pensare. È sempre più doloroso, pensare, ma alla fine mi fa stare meglio. E non è una contraddizione. Ora le lacrime scorrono calde e silenziose, senza singhiozzi e sempre meno spesso.

In mezzo alla gente, sul treno, sono sola. All'andata guardo fuori, perché c'è luce. Ci sono dei campi bellissimi, e degli ulivi vecchissimi sulla strada. Quando il treno entra in città leggo uno dei preziosi libri sottratti temporaneamente alla stanza dei balocchi. Al rientro invece di solito ascolto la musica -soprattutto se non trovo posto a sedere o se intorno sono tutti più stanchi di me. Il che accade quasi sempre, nonostante mi stremi di lavoro, di lettura, di movimento. Mi sembrano tutti annoiati.

Alleno la concentrazione - e ho capito qual è il bello della bicicletta: permette di concentrarsi con tutto il corpo. E mi piace. Sudo con la mente, prima che con il corpo, e lascio che si sciolgano entrambi. Pedalo e guardo avanti. Ascolto la musica per poco, poi mi rimane nella testa solo il ritmo, come un battito. E mi estraneo. Sono selvatica anche in questo.

(fortuna mi riprendo quando la lezione è finita)

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