giovedì 10 marzo 2011

Più donne nei CdA. Ma con calma

da "La Voce del Ribelle":
La pantomima delle “quote rosa” è assurda di per se stessa, ma la maggioranza di governo ci aggiunge del suo: il rinvio della piena applicazione delle nuove norme, sulla presenza femminile nei consigli di amministrazione, al 2021
di Sara Santolini 

Quote rosa. Già il nome che è stato appiccicato (anche) al provvedimento per l'aumento legale e obbligatorio delle donne nei Consigli di Amministrazione delle società quotate in Borsa, in discussione in questi giorni, tradisce una mentalità fondamentalmente maschilista. E non si tratta di una sterile querelle sui termini: l’espressione giusta per un provvedimento di questo tipo, se il nostro fosse un Paese evoluto, sarebbe "quote di genere". In caso contrario la legge sembra quasi prevedere una discriminazione nei confronti degli uomini, che non avrebbero una percentuale di presenza garantita loro come le colleghe donne. 
Il ricorso alle quote può essere considerato utile solo qualora sia semplicemente un mezzo, sia pure artificioso, per smuovere una situazione stagnante, laddove esista una vera e propria assenza di uno dei due sessi nelle posizioni di potere di uno Stato. Ma non possono in nessun caso essere definitive. Inoltre il vero segnale della discriminazione femminile non è solo la mancanza di donne nei posti dirigenziali, ma soprattutto il divario di stipendio con gli uomini, a parità di funzioni. E anche se questa differenza si attestasse a un livello inferiore ai due punti percentuali, come rilevato in Italia dall’Università Bocconi, si tratterebbe comunque di discriminazione. Che, in quanto tale, bisogna considerare inaccettabile. Qualora la mancanza di donne in tali Consigli sia frutto di discriminazione, e non una semplice scelta effettuata in base ad altri parametri, esistono infatti delle sanzioni, a livello europeo, che prevedono ammende fino a 50 mila euro e la reclusione fino a sei mesi. 
Nonostante i vantaggi di immagine per il governo e soprattutto per Berlusconi, che a causa delle note vicende del bunga-bunga ha perso parecchi punti nella stima soprattutto dell'elettorato femminile sia di destra che di sinistra, la Commissione finanze al Senato martedì ha bloccato la legge rinviandone la piena entrata in vigore nientemeno che al 2021. Dieci anni tondi tondi. Nell'inevitabilità del provvedimento, è stato approvato l'emendamento Germontani che prevede un rinnovo graduale dei Cda con un aumento progressivo del numero di donne in Consiglio. Il tutto ben diluito nel tempo. Ma ieri, a Palazzo Madama, sono scaturite nuove ipotesi. Andando incontro ai desideri di Confindustria, Abi (Associazione Banche Italiane) e Ania (Associazione Nazionale Italiana Assicurazioni) il governo potrebbe prevedere un adeguamento in tre step successivi, uno per ogni rinnovo del Cda, prolungando il raggiungimento del tetto del 30% almeno al 2018. Un’altro ritardo riguarda l’entrata in vigore della legge. Invece dei sei mesi dalla pubblicazione in Gazzetta, come previsto dalla Commissione, la legge entrerà in vigore solo dopo un anno. Infine le aziende che non si adegueranno alle quote non incorreranno nella decadenza immediata degli organi, come previsto inizialmente, ma in una serie di diffide e sanzioni successive.
Tutto fumo negli occhi, in ogni caso. Basti pensare che in Italia la presenza femminile nel Parlamento non supera il 20 per cento, e che al di sotto del 30 non può avere alcuna influenza sulla politica. È singolare inoltre che il governo, che si appresta a cancellare ogni tipo di controllo nei confronti dell’iniziativa economica, con la riforma (e lo snaturamento) dell’articolo 41 della Costituzione, pretenda poi di imporre vincoli preventivi alla composizione dei Cda di quelle stesse imprese che sono e restano private.
Visti i legami tra importanti società e governo, la decisione di rimandare l’entrata in vigore della legge e di edulcorare le sanzioni in caso di mancato recepimento, non può essere un caso. Spesso i consiglieri di diverse società sono legati a doppio filo alla politica di modo che il leader del momento possa controllarle attraverso di loro, e perseguire così i propri interessi. Finora si trattava per la maggior parte di uomini. L’introduzione delle quote, come ogni altro cambiamento, va bene ai nostri politici, e alle associazioni di imprese, solo qualora non alteri gli equilibri esistenti e mantenga saldo e intatto il sistema di potere già affermato. Per questo, forse, chi di dovere si sta domandando dove trovare donne da collocare in questi posti strategici, soprattutto nel caso in cui abbia nel proprio parco delle persone di fiducia solo, o soprattutto, uomini. E in particolar modo ora che le donne in stile “Papi girl”, di per sé utilissime allo scopo perché in nome della carriera e dei soldi facili assicurerebbero fedeltà cieca obbedienza eterna al proprio benefattore, sono almeno temporaneamente "bruciate". Ovvio: accantonate le Minetti di turno, per trovare una risposta soddisfacente c’è bisogno di tempo.

Sara Santolini

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