giovedì 2 dicembre 2010

Monicelli, più vitale di molti viventi

da "La Voce del Ribelle": 
Solo la nostra classe politica poteva avventarsi sul suicidio del grande regista per cercare di strumentalizzarlo in un senso o nell’altro. Dimostrando di non aver capito niente


Da toscano purosangue, il monticiano d’adozione, anche da morto riesce a far incazzare quelli che gli stavano sulle palle e farli parlare a vanvera, regalandoci ancora amare risate sulle meschinità di questo paese. Regalandoci, perché lo spettacolo va in scena alla Camera e non al cinema: nessun biglietto da pagare, solo alti stipendi che sono un insulto a un’Italia allo stremo. Che, però, finché questi parlamentari li paga, eleggendoli e rieleggendoli, si merita ogni insulto che riceve.
Esistesse l’aldilà della Binetti, Monicelli, se la starebbe ridendo alla grande. Noi, che siamo vivi, invece ridiamo meno del vergognoso spettacolo bipartisan dato dai deputati, visto che fra i “dolce morte” e i “pro vita” il ridicolo e l’arroganza sono equamente condivisi. Sì, anche i “dolce morte” condividono l’arroganza dei “pro vita”, perché la radicale-PD Rita Bernardini ha dimostrato di non aver capito nulla di Monicelli e del suo gesto virile, pronunciando questa dichiarazione: «Quest'Aula dovrebbe riflettere su come alcune persone che non ce la fanno ad andare avanti sono costrette a lasciare la vita invece di morire vicino ai propri cari con la dolce morte». 
Costretto…? Niente e nessuno avrebbero mai potuto convincere Monicelli a fare alcunché: il suo è stato un “estremo scatto di volontà”*. La volontà di un Uomo che ha sempre fatto della sua autonomia intellettuale, e fisica, una bandiera, che mai avrebbe potuto accettare la “dolce morte”, magari in salsa fazista, che ha agito scientemente finché era in tempo: anche fosse stata possibile l’eutanasia, mai si sarebbe lasciato strascinare fino al momento in cui la morte avrebbe dovuto essergli pietosamente concessa da altri. Piaccia o no alla Bernardini esiste gente che, alla “dolce morte”, preferisce un dignitoso suicidio, essendo convinta che, fino a quando una persona è in possesso delle sue facoltà fisiche e mentali, non c’è bisogno di alcuna eutanasia: c’è il suicidio, come ai tempi in cui Roma era “Antica”. 
In effetti il nostro viareggino è morto come un Romano Antico, di quelli che non ce ne sono più, ma del resto già dai tempi dell’Impero erano i soprattutto i “provinciali” a comportarsi da Romani. Il messaggio che i “dolce morte” dovrebbero cogliere nel gesto di Monicelli è che, per alcuni, il suicidio è una scelta e che chi può farla finita da solo, prima di diventare un groviglio di tubi, lo fa, e questo non è costrizione ma è volontà. Che arroganti, questi “suicidi”: ritengono che ci sia qualcosa che non va in chi chiede ad altri di fare ciò che lui non riesce a fare; ritengono che siano persone che non vogliono realmente morire, oppure sono dei vili. Un genere di individui dai quali comunque, col suicidio, ci si vuole distinguere.
Questo naturalmente vale solo per chi è in grado di porre fine in autonomia alla sua vita, come Monicelli ha avuto il tempo di fare, ad onta della sua età. Se ciò non è possibile ben venga allora la “dolce morte”, se mai può essere dolce la morte, della Bernardini. Più della Bernardini, infatti, avrebbe sollazzato il Monicelli la solita Binetti con le sue ringhiose, presuntuose, dichiarazioni: «Basta, per piacere, con spot a favore dell'eutanasia partendo da episodi di uomini disperati, perché Monicelli era stato lasciato solo da famiglia e amici ed il suo è un gesto tremendo di solitudine non di libertà».
Come si permette di asserire che fosse un uomo disperato? Certo la malattia non lasciava speranza, ma è stato, come ogni atto della vita regista, un “gesto di libertà”, non certo di solitudine. Se Monicelli era solo, lo era proprio perché lui rifiutava di essere un vecchio da compatire: anche ammettendo la solitudine pretesa dalla Binetti, è da pensare che fosse perché è stato lui ad allentare i legami con famiglia e amici, proprio perché troppo uomo per accettare di essere compatito e influenzato nelle scelte definitive. Questo a meno che la Binetti non provi di essere così intima della famiglia Monicelli e di avere informazioni Wikileaks che a tutti noi infedeli mancano.
È però vero che non è stato uno spot favore dell’eutanasia. Se ne fregava lui di chi subisce gli spot: è stato solo il gesto di un uomo convinto, giustamente, che la sua vita appartenesse a lui e solo a lui, non alla Binetti o al suo dio. A questo poi ha aggiunto un antifazista corollario di virile coerenza: il non chiedere, anzi rifiutare, quelle messe a suffragio che tanto piacciono ai fazisti, ottenendo invece le campane di rispetto rionale e umano di un parroco, Don Francesco, molto più vicino al suo Cristo di quanti pretendono di rappresentarlo e imporlo, per colpa soprattutto nostra, in parlamento.
Il geniaccio versiliese se ne fregherebbe anche di questo spreco di lettere. Non ne ha bisogno: ha già risposto, nella sua ultima intervista**, alle parole, queste sì da spot, di Enrico La Loggia, «Suicidio mai, mai. Sempre la vita e la speranza», con il memorabile: «la speranza di cui parlate è una trappola, una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni. La speranza è quella di quelli che ti dicono che dio… state buoni, state zitti, pregate che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Intanto, perciò, adesso, state buoni: ci sarà un aldilà. Così dice questo: state buoni, tornate a casa. Sì siete dei precari, ma tanto fra 2 o 3 mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto. State buoni, andate a casa e… stanno tutti buoni. Mai avere speranza! La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda».
Dovremmo imparare dal regista-sceneggiatore a rinunciare a questa speranza e a riprenderci il futuro, strappandolo in primis a chi sostiene che sarà lui a “farlo”.  Seguendo la ricetta, forse suicida e non certo da “dolce morte”, che ci indica il regista allo scopo di realizzare «quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una rivoluzione che non c’è mai stata in Italia. C’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania, dappertutto, meno che in Italia. Quindi ci vuole qualche cosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto. Sono 300 ani che è schiavo di tutti e, quindi, se vuole riscattarsi…il riscatto non è una cosa semplice: è doloroso, esige anche dei sacrifici, sennò vadano in malora, come già stiamo andando da tre generazioni». Ma ci vuole coraggio a tuffarsi in questa soluzione. Quindi meglio rifugiarsi nella dolce morte o nella non vita a oltranza e andare alla malora.

Ferdinando Menconi


*Per usare le giuste parole di Giorgio Napolitano

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