mercoledì 16 febbraio 2011

Obama, il pifferaio (poco) magico

da "La Voce del Ribelle":


La “missione impossibile” di risollevare gli Usa dalla crisi del 2008 si conferma impossibile. E quello che doveva essere il Presidente delle Meraviglie si conferma un bluff tragicomico
di Alessio Mannino


Obama si è risvegliato e ha annunciato un piano di austerità per andare incontro all’opinione pubblica americana sempre più delusa dal suo operato. Il messia democrat doveva salvare il mondo dall’ingiustizia universale, ricordate? A più di due anni dall’incoronazione elettorale, tuttavia, il suo bilancio è misero. Ora è facile dire “l’avevamo detto”. Resta difficile dirlo ancor oggi per gli illusi che non vogliono ammettere che era e si conferma un imbroglio annunciato. Un lifting nero fatto al Potere di Washington. Un Bush travestito.
L’evento centrale della storia americana e mondiale di questi anni, la crisi finanziaria, Barack ha finto di governarla con qualche ritocco alle regole ma ne ha buttato sotto il tappeto le cause, coprendone i colpevoli. Attorniato da uomini di quella Wall Street che ha puntato su di lui dopo aver disarcionato il predecessore, di fatto ha salvato il sistema speculativo che aveva causato la bolla e ha messo il sigillo presidenziale ai profitti stratosferici delle banche d’affari uscite vincitrici e ingrassate dal crollo delle rivali più deboli. L’onnipotente e intoccabile Goldman Sachs ne è l’esempio lampante. 
Nelle politiche sociali il solo risultato di rilievo che ha portato a casa è la cosiddetta riforma sanitaria. Presentata come lo spartiacque epocale fra l’America del far west e la nuova America solidale e anti-classista, al dunque è stata annacquata a tal punto che è lecito dubitare che resisterà a un’eventuale conquista della Casa Bianca da parte dei Repubblicani. Ma era una favoletta già di suo: l’estensione dell’assistenza pubblica a fasce più ampie di ceto medio non fa altro che rimpinguare le casse delle voraci case farmaceutiche nonché di quelle assicurazioni private, oggi pagate non più dal privato cittadino bensì dallo Stato, che costituivano il bersaglio propagandistico della riforma. 
Dice: meglio aprire una voragine nel debito pubblico per curare la classe media impoverita piuttosto che per finanziare l’industria bellica. Ma oggi Obama è costretto a decidere tagli per 1.100 miliardi di dollari in dieci anni, una cifra talmente astronomica e diluita nel tempo che è facile prevedere che resterà lettera morta. Nell’arco dei prossimi cinque anni – anche qui nell’ipotesi di essere rieletto nel 2012 - Barack vorrebbe togliere 78 miliardi al budget del Pentagono. Ci permettiamo di dubitarne. Le truppe d’occupazione a stelle e strisce non se ne sono ancora andate né dall’Irak né tanto meno se ne andranno a breve dall’Afghanistan. Gli assegni miliardari con cui gli Stati Uniti si comprano la stabilità e la fedeltà di paesi strategici come l’Egitto continuano ad essere generosamente staccati. La politica di potenza imperiale viene perseguita con un più accorto basso profilo rispetto alla tracotanza di Bush e dei suoi scherani neocon, ma resta il faro di un’America che percepisce il declino della propria egemonia contrastata dalla Cina in ascesa. Gli osanna delle anime belle che vedevano in Obama un pacifista figlio dei fiori sono ridicoli se messi a confronto con l’assoluta, pervicace, deliberata e tanto più odiosa quanto più occultata continuità di dominio americano sul mondo. 
Sì, Guantanamo è stata sostanzialmente svuotata. Ma se alcuni prigionieri sono stati rimessi in libertà, altri sono stati semplicemente spediti in altri luoghi di detenzione senza un processo e senza garanzie di non essere ancora torturati e trattati come bestie. La libertà è infatti un concetto assai flessibile per questo presidente amato da liberali e sinistre: la democratica America di Barack ha mantenuto il liberticida Patriot Act e pensa ad altre norme per dare un’ulteriore stretta alla libertà di comunicare e informare su internet. Una democrazia sempre più orwelliana, quella di mister Barack. 
Il fallimento completo di Obama sta però in un fatto economico nudo e crudo. La Federal Reserve, la banca centrale Usa, sta acquistando senza sosta titoli di Stato americani. In pratica la Fed acquisisce titoli di debito e in cambio dà dollari fruscianti, finanziando il deficit con l’inflazione. Se continua così, quelli in suo possesso supereranno la quota di proprietà della Cina, che ammonta a 2 mila miliardi di dollari. Questo dato dovrebbe terrorizzarci. La Fed stessa informa che il passivo totale degli Stati Uniti (pubblico e privato) è di 114.428 miliardi di dollari, contro un valore del Pil di 14.575 miliardi. Per restituire questa montagna di denaro l’economia americana dovrebbe correre come treno per otto anni senza consumare niente. Il che, come ognuno capisce, è impossibile. Perciò prima o poi, anzi molto prima che poi, chi ha bond americani si ritroverà in mano carta straccia. In queste condizioni, una crisi futura è inevitabile. Soprattutto perché Obama, il protettore degli oppressi, in politica economica sta cercando in tutti i modi di rincorrere la destra della deregulation e dell’egoismo bancario. Fa tirare la cinghia alle casse dello Stato per non imporre misure draconiane ai suoi burattinai della finanza e al popolo americano, provato dalla disoccupazione e dai debiti ma infantilmente attaccato al mito del benessere, cuore della civiltà americana. E questa deriva produce l’effetto di rendere gli Americani, consumisti forsennati, più irresponsabili di quanto già non siano. A Obama non basterà investire in banda larga e nell’assunzione di nuovi insegnanti per evitare di essere giudicato per quel che è: il pifferaio magico di un’America in decadenza che non intende fare i conti con i motivi profondi che l’hanno portata alla decadenza. 

Alessio Mannino

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