martedì 26 ottobre 2010

Media e credibilità: altro che (solo) Tg1 e Tg5

Il fatto che Tg1 e Tg5 stiano perdendo credibilità non è una notizia: tutti i media tradizionali (o quasi) stanno avendo la stessa sorte. Dalla televisione generalista alla carta stampata e sino a tanti siti internet che sono estensione web di grandi gruppi editoriali (e politici, ed economici). Inutile tornare sull'argomento: ne abbiamo parlato nel numero doppio del mensile dedicato all'informazione, tempo addietro (qui si può scaricare gratuitamente: un nostro omaggio - e di tutti i nostri abbonati che ci permettono di farlo - all'informazione).
Il motivo è semplice: ciò che raccontano i media di massa non è ciò che il cittadino - la massa, appunto - vive sulla propria pelle. Il giochino riesce, e talvolta riesce anche per molto, moltissimo tempo. Ma poi i nodi vengono al pettine e la credibilità sparisce. Si nasconde una cosa, se ne travisa un'altra, si dà enfasi a ciò che non lo merita e la storia va avanti, ma a un certo punto il senso di impotenza e disagio si fa strada. Si confronta ciò che si vede in Tv (e si legge) con la realtà, e a un certo punto, almeno in parte, si prende coscienza.
Giusto che i giornali che ci troviamo perdano copie. Giusto che i telegiornali abbiano la stessa sorte, perdendo telespettatori e pubblicità. Ciò che importa è invece un aspetto più delicato, e dirimente. Ovvero il fatto che il 70% dell'opinione pubblica, anzi popolare, si forma proprio attraverso la televisione e questi telegiornali che dal punto di vista professionale, etico, morale e anche di semplice utilità, non servono assolutamente a nulla, se non mantenere in uno stato di coma vegetativo le coscienze e le conoscenze delle persone che tali telegiornali guardano.
Nel nostro Paese, dentro alle urne, i politici vengono scelti per come sono raccontati in televisione. La massa non sceglie informandosi a fondo, leggendo i programmi, conoscendo la materia, ma semplicemente in seguito a una esigenza emotiva innescata da televisione del genere. Inutile stupirsi, poi, se i risultati sono quelli che sono. Decade la cultura, la conoscenza, la capacità di capire e di farsi una opinione, e decade immancabilmente la qualità della nostra democrazia (che infatti tutto è fuorché democrazia). Decade, in sostanza, la storia.
Inutile insistere anche sulle (giuste) battaglie contro la televisione, proprio come mezzo, che favorisce la superficialità e disinnesca tutte le possibilità di comprensione di ogni materia. La televisione esiste ed è, ancora oggi, il mezzo più potente di propaganda.
Una distinzione già sufficiente, tra gli uomini, si può fare semplicemente verificando se chi abbiamo di fronte è un uomo che guarda (la tv) o un uomo che legge (libri). Non è solo il mezzo di informazione a cambiare, è proprio la capacità di discernimento che ne discende a fare la differenza. Basta entrare in una abitazione e vedere che posto, anche fisico, e che ruolo ha il televisore. Oppure quanti - e quali - libri ci sono. Soprattutto, se si tratta di libri effettivamente letti oppure messi lì per reggere gli scaffali...
Ma fuori da casistiche anche troppo semplici, e semplicistiche, basta verificare i dati, nel nostro Paese, di quanti siano i "lettori" e di quanti, invece, i "telespettatori". E poi rapportarli, semplicemente guardandosi attorno, allo stato culturale, sociale ed etico, oltre che morale, dei circa 60 milioni di italiani. Si può contestare il ragionamento. Ma i dati - implacabili - sono questi. E anche i risultati.

Valerio Lo Monaco

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