martedì 19 luglio 2011

Braquo - una serie di Olivier Marchal


Chi dice che le serie tv, soprattutto poliziesche, le sanno fare solo gli americani, 
non si è mai imbattuto in Olivier Marchal


Braquo è una serie dura e passionale che niente ha che vedere con la robetta edulcorata che produciamo in Italia, come "Distretto di polizia", tanto per fare l'esempio più conosciuto, dove sembra più di seguire una famigliola da Mulino Bianco che un gruppo di professionisti della difesa del territorio. Soprattutto, però, Braquo non ha nulla da spartire, e da invidiare, alle serie americane ben più famose e fortunate di quelle nostrane. Serie che, di solito fatte benissimo, hanno comunque quel non so che di "americano" che, inutile negarlo, al pubblico europeo un po' disturba. 

In Braquo non c'è nessun eroe patinato, nessuna lolita, nessun personaggio super sexy o rispondente agli ipocriti canoni morali tutti americani che ci sorbiamo da anni. Insomma, siamo lontani da Hollywood. 
L'atmosfera è cupa e quasi decadente, e la durezza delle situazioni e dei personaggi è tutta umana. Le loro interazioni sono di una solidarietà lontana dagli stereotipi che rende più vicini a noi i personaggi, nonostante si tratti di un gruppo che opera al limite, e a volte anche oltre esso, della legalità. Storie di vite dannate che hanno l'urgenza dell'inevitabile, della necessità di fare la scelta "più giusta possibile", fregandosene delle conseguenze, ma non senza dissidio. Eppure questi personaggi non sono aridi: hanno le loro storie d'amore e d'odio come tutti, ma le vivono come tali, senza ammennicoli da serie Harmony.

La serie è inoltre una prova di recitazione, sceneggiatura e regia di alto livello. Ed è il caso di ricordare, accanto al nome di Olivier Marchal, quelli di Jean-Hugues Anglade, Nicolas Duvauchelle, Joseph Malerba e Karole Rocher, i protagonisti della serie, tutti provenienti da esperienze artistiche di livello, non semplicemente usciti dal cappello di qualche sedicente produttore.
Ed è davvero il caso di dire inoltre che, qui, le parole, come le inquadrature, "sono pietre". Pietre di un certo peso, che investono aspetti importanti della vita di ognuno, che lasciano riflettere sull'opportunità di agire o meno dei personaggi, su da che parte stia il bene e il male.

Ce ne fossero di serie così in Europa, finalmente lasceremmo agli americani le loro cavolate alla James Bond che servono solo a farsi quattro risate. Ma non a riflettere. 

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