lunedì 31 ottobre 2011

Indignati: la rivolta degli hashtags arriva in strada


La rivoluzione del peer to peer parte da una semplice tastiera. O meglio, da un singolo pulsante: il simbolo del cancelletto, quello che, sulla piattaforma network, precede una parola chiave interna ai messaggi postati su Twitter, che diventa così un hashtag, e che permette di accomunare i post che riguardano uno stesso argomento o di creare gruppi in funzione di un evento - quello che nel caso dell’enorme diffusione delle proteste che hanno avuto il loro culmine nel 15 ottobre Jeff Jarvis, professore di giornalismo dell’Università di New York, ha già chiamato Hashtag revolt ricordando che «no one owns a hashtag, it has no leadership, it has no organization, it has no creed»*.


Il movimento di protesta, ormai mondiale, degli Indignati ha in internet il suo mezzo di comunicazione ma prescinde da esso: sfruttandone le potenzialità di formazione e allargamento del gruppo tramite la condivisione di interessi o problematiche ne esporta al di fuori della comunità digitale i principi di libertà e eguaglianza.


Uomini, donne, disoccupati, studenti, lavoratori precari e pubblici: il 15 ottobre in piazza c’erano, infatti, proprio tutti. I grandi assenti erano partiti e sindacati. Da questo punto di vista è qui la vera novità: i manifestanti sono singole persone che, sfuggendo alla logica dei media di massa, decidono quale argomento trattare, per cosa indignarsi, quando e come protestare senza che ci sia un leader di partito, un sindacalista o un giornalista a decidere per loro cosa valga la prima pagina o per quale motivo e in quali termini sia conveniente scendere in piazza. Ed è questo, più di qualunque altra cosa, a far tremare i palazzi del potere, fino alle fondamenta.


Sara Santolini


* nessuno possiede un hashtag, esso non ha guida, non ha organizzazione, non ha credo




1 commento:

Sara Santolini ha detto...

effettivamente... ;)