mercoledì 29 settembre 2010

Il grande giorno dei voltagabbana

Completata la “campagna acquisti”, Berlusconi chiede la fiducia 
Venduti? Non sia mai. Tutt’al più ondivaghi. Uomini messi a dura prova dal perenne mutare delle vicende politiche e perciò indotti – loro malgrado, si capisce – a continui e sofferti ripensamenti. Certo: sono stati eletti in un partito e all’interno di uno schieramento, ma come tutti sanno qui in Italia non sussiste il cosiddetto “vincolo di mandato” e perciò, nel supremo interesse della libertà di pensiero, e quand’anche di coscienza, una volta eletto il parlamentare ha facoltà di collocarsi dove ritiene più opportuno. Dal primo giorno della legislatura fino all’ultimo. 
Da quell’attento osservatore che è, egli si informa, analizza, soppesa. Con tutta l’attenzione necessaria. Se ha dei dubbi non esita: si consulta con altri che lo possono aiutare a formarsi un giudizio. Per esempio, e per restare alle vicende di quest’ultimo periodo, si ritaglia un momento libero tra i suoi molti impegni e se ne va a Palazzo Grazioli per farsi una chiacchierata con Berlusconi. Oppure, più modestamente ma non meno utilmente, con qualcuno del suo entourage. Come si dice, sapere è potere. È importante, è essenziale, conoscere con esattezza la situazione, prima di tirare le somme.  Un bravo politico lo sa, forse meglio di chiunque altro. Ma la cautela è una cosa. L’inazione un’altra. La cautela è un merito. L’inazione una colpa. Alla fine di questo lungo cogitare, che richiede uno sforzo non indifferente e che proprio per questo gli fa così onore, egli non si sottrae all’indispensabile epilogo di una decisione. E se proprio si convince a cambiare di posto, transitando dall’opposizione alla maggioranza, o viceversa, non si lascia inibire dalle volgari accuse che taluni gli muovono: io un mercenario? Io un traditore? Giammai. Come è stato già osservato da illustri predecessori, se cambio casacca è proprio per non dover cambiare le mie idee. Anzi, i miei valori.
Il fenomeno, com’è ovvio, tende ad ampliarsi nei momenti di crisi. Il governo traballa, per un motivo o per l’altro, e l’incertezza del quadro complessivo obbliga i più sensibili a interrogarsi su ciò che sia giusto. Lo spettro delle elezioni anticipate li angustia. Mica perché temono di non essere rieletti. Figurati. Queste sono quisquilie, al cospetto degli interessi del Paese. La loro preoccupazione, che pencola pericolosamente sull’abisso dell’angoscia, è per la fase di incertezza che si aprirebbe. E che, specie in tempi difficili come gli attuali, priverebbe l’economia e la società di quella guida di cui hanno tanto bisogno. 
Pur tuttavia, essi non sono disposti a lasciarsi trascinare dalle emozioni. Vogliono pensarci ancora più a fondo. Consci della delicatezza del momento, si riservano il verdetto fino all’ultimo. In vista della votazione odierna, ad esempio, non possono ancora annunciare con certezza il loro orientamento. Con quella limpida e serena schiettezza che li accompagna, soprattutto nel loro impegno al servizio dei cittadini, lo affermano e lo ripetono: dobbiamo ascoltare il discorso di Berlusconi, prima di poter scegliere se concedergli oppure no la nostra fiducia. E anche ammettendo che egli ci abbia promesso qualcosa, nel caso in cui lo appoggiassimo, ciò non deve essere frainteso: non si tratta certo di un meschino scambio di favori. Bensì di un’attestazione di stima, da parte sua, che è la premessa ideale di un possibile incontro. 
Come ebbe a dire Mastella nel febbraio 2009, in occasione delle Europee e del suo rientro nelle file del centrodestra, «Berlusconi e Fini sono persone di grande correttezza, per me contano più i valori umani delle strategie». Un fulgido esempio, che non resterà ignorato nemmeno oggi.
Federico Zamboni

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