domenica 26 settembre 2010

La Marcegaglia scopre il "rischio"

"Si corre il rischio che la disoccupazione aumenti". È il Centro Studi di Confindustria a dirlo, visto che "stima che il 2010 si chiuderà con 480 mila persone occupate in meno rispetto al 2008". E ancora "è l'ora delle riforme".
Lo riportano tutti i giornali. Ciò che non riportano con la dovuta accortezza, invece, non sono tanto gli altri dati - Pil previsto al ribasso; ripresa prevista per il 2013; sommerso oltre il 20% - quanto ciò che questo comporti.
In primo luogo l'assoluta inadeguatezza delle dichiarazioni che sentiamo da organi del genere, e dal governo, dagli ultimi tre anni in qua. In secondo luogo, e il che è ancora più importante, come una situazione del genere si collochi all'interno della attualità nel nostro Paese.
Sul primo punto inutile insistere: leggere, assecondare, riflettere e credere a dichiarazioni periodiche del genere è come farsi leggere la mano da una fattucchiera. 
Il secondo punto è invece quello più importante, e va interpretato insieme all'argomento dei debito pubblico del quale abbiamo parlato giorni addietro. Non serve una grande capacità di previsione per capire il motivo delle parole di Confindustria: le aziende sono in crisi, la situazione è grave, e servono riforme - le riforme suggerite dalla stessa Confindustria, guarda caso... - per superare la situazione.
Naturalmente, visto il pulpito dal quale viene la predica, si tratta di riforme che andranno, nel caso, a vantaggio delle aziende in primo luogo (stile Fiat?) e solo secondariamente, semmai, ai lavoratori oggetto della dichiarazione stessa. Oltre al fatto che resta da capire a quale prezzo. Per ora, il prezzo che i lavoratori stanno pagando rispetto alla situazione è quello della perdita dei loro diritti, se non del lavoro in toto.
In tempi di vacche grasse le industrie hanno elargito dividendi agli azionisti, in tempo di ristrettezze, al solito, il conto verrà pagato dai lavoratori.
È quello che sta accadendo in Germania. Proprio la Germania presa come esempio da vari personaggi, in virtù del suo notevole score nelle esportazioni. Tali risultati sono stati raggiunti soprattutto grazie a due situazioni: la riduzione salariale (con benestare dei sindacati locali) e la maggiore produttività. Si produce di più e si guadagna di meno. In altre parole, vivere diventa più difficile, e il senso stesso dell'esistenza va più verso lo schiavismo che verso la vita.
Naturalmente l'export della Germania reggerà fino a che ci saranno altri Paesi in grado di assorbirlo, ovvero di spendere per poter comperare. Oltre non potrà andare. E visto come sono messi gli altri Paesi europei non è che si possa stare tanto allegri: pensate che l'exporti tedesco vada forte in Grecia, ad esempio?
Per quanto ci riguarda, pertanto, la strada che la Marcegaglia, con ii capelli vaporosi e spettinati dai venti contrari dell'economia, indica, è quello di un forte intervento statale per modificare, in sostanza, le regole del lavoro nel nostro Paese. La direzione è chiara, e punta verso oriente. Precisamente verso la Cina, per intenderci.
Marchionne ne ha già dato ampi esempi pratici. E presto, se il governo dovesse seguire Confindustria, potremmo trovarci nella bufera di riforme che neanche a dirlo saranno lacrime e sangue per tutti. Contrattualizzati in primis: gli altri, i lavoratori a tempo, sono già carne da macello. Dove il governo è potuto intervenire direttamente in parte lo ha già fatto (dipendenti statali, istruzione, sanità, pensioni) e continuerà a farlo. Cadendo, poi arriverà l'altro governo, ci proverà, e cadrà di nuovo e così via, indefinitamente. Dove dovrà invece contrattare con le "parti sociali" proverà a fare lo stesso. E anche in questo caso non si preannuncia nulla di buono: la dimostrazione nei confronti di Bonanni di giorni addietro è una efficace sintesi e anticipazione di ciò che accadrà a breve e maggior raggio.
Unitamente a questo, ipotizzare oggi - e su quali basi ridicole lo abbiamo visto - come fa il rapporto di Confindustria, che una ripresa almeno decente la si vedrà solo dal 2013 (previsione ridicola, poggiata sul nulla ondivago delle previsioni chiaroveggenti) significa però, anche dal punto di vista della quiete pubblica, lanciare una bomba sugli italiani. In particolare modo su quanti, già in cassa integrazione, possono mettere una pietra sopra alla speranza di vedersi reintegrati in azienda alla fine del tempo massimo per i sussidi pubblici. Su quanti sperano di veder migliorare le proprie condizioni economiche a breve dopo averle viste crollare nei tre anni precedenti. Su quanti si apprestano a entrare nel mercato del lavoro, o cercano di trovare impiego già da tempo senza riuscirci. 
Facile, in una situazione del genere, immaginare la direzione che prenderanno gli italiani (sommerso ed evasione, quando praticate dai "piccoli" e non dai "grandi", sono una faccia di questa medaglia, quasi una sorta di autodifesa nei confronti di uno Stato che drena denaro e non è in grado di dare alcuna risposta né servizi). La tecnica del "si salvi chi può", se è umanamente comprensibile, non è affatto detto che rappresenti la soluzione migliore. Ma così sarà. Le aziende lo stanno già facendo, e ora tocca ai lavoratori. Un tutti contro tutti. Tra poveri. Settore per settore. Per un tozzo di pane.
Valerio Lo Monaco 

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