lunedì 20 settembre 2010

La morte del Tenente Romani scoperchia un "caso" grosso così

A corrente alternata, almeno per quanto concerne i media tradizionali, arrivano notizie poco confortanti da Iraq e Afghanistan, che sono argomenti correlati, considerando che fanno parte della medesima strategia militare che Obama ha ereditato da Bush (e con lui praticamente tutta l'Europa). Le ultime notizie in ordine di tempo parlano per il primo caso di due autobombe esplose simultaneamente nel centro di Baghdad, nel secondo caso del clima di altissima tensione alle elezioni in Afghanistan: diverse vittime in seguito ad attacchi talebani nelle zone dei seggi (morti anche alcuni scrutatori).
A queste si aggiunge la morte del tenente del nostro esercito, che di per sé, oltre alla tristezza intrinseca relativa al fatto che un ragazzo trentaseienne perde la vita per una guerra utile agli scopi Usa, dice in realtà una cosa molto più importante, anche se i media paiono (...) non accorgersene.
Il tenente Romani, infatti, faceva parte di un contingente italiano molto particolare. E sconosciuto all'opinione pubblica. Si tratta della Task Force 45, che al di là del nome straniero (in yankee style) è un vero e proprio commandos delle forze speciali italiane. Si tratta, in sostanza, di veri e propri incursori che hanno la specificità di andare a caccia di uomini: azioni mirate per snidare e uccidere i nemici. Aspetto ulteriore: dipendono direttamente dalla Nato e a essa si riferiscono, e sono insomma svincolati dalla classica trafila di comando dei nostri militari tradizionali.
Questi ultimi, come vulgata vuole, sono in Afghanistan come forze di pace e hanno regole di ingaggio ben precise. Sappiamo bene, ormai, dell'ipocrisia intrinseca del voler definire un contingente militare in operazioni di invasione e occupazione di un Paese straniero come "forze di pace" nel momento in cui questa "pace" è imposta con la forza da un soggetto terzo (Usa e alleati) secondo i criteri di quest'ultimo e non secondo la volontà del popolo autoctono. Ma ben oltre l'ipocrisia di tale definizione, è importante mettere a fuoco il fatto che nel nostro Paese i cittadini non erano a conoscenza della presenza sul campo di militari italiani con regole d'ingaggio e consegne molto diverse da quelle che l'opinione pubblica, nella maggioranza, ha pur, almeno a parole (e voti) accettato.
La Task Force 45 è un corpo speciale che è lì per fare la guerra, non per mantenere la pace. In violazione della nostra Costituzione e in violazione del normale diritto del popolo italiano di conoscere esattamente come stanno le cose.
Il nostro Governo, e il Ministro La Russa, si sono insomma ben guardati dal rivelare che dei nostri militari sono lì per fare la guerra ai talebani. E la questione, malgrado quanto si possa pensare, non è di lana caprina. Perché oltre a evidenziare la reticenza del nostro governo nel dire la verità, apre in realtà una questione di legittimità grande come una casa.
Beninteso, che nella storia vi siano state e vi siano tuttora una serie di situazioni "governative" ai limiti della legalità - quando non oltre - di cui l'opinione pubblica non è a conoscenza è cosa risaputa. Ma è cosa molto grave soprattutto nel merito di una situazione, quella militare, da sempre molto controversa nell'opinione pubblica (per i partiti la cosa, oltre a vane parole, non è controversa affatto: tanto il centrodestra quanto il centrosinistra hanno sempre avallato missioni militari di invasione al soldo degli Stati Uniti).
Da rilevare, sopra ogni altra cosa, che oltre al cordoglio espresso per il tenente Romani, non vi sia nessuna forza politica, e tanto meno nessun (o quasi) quotidiano o televisione, che abbia avuto la benché minima volontà di andare al cuore del problema e scoperchiare un caso di rilevanza fondamentale: con quale legittimità, secondo quali regole, la Task Force 45 opera in Afghanistan? Roba da trattare ben oltre una indagine, quanto da affrontare con una interrogazione parlamentare. Di pubblico dominio, s'intende. Ma sull'argomento si tace (o quasi: solo qualche media ha affrontato, e di striscio, la questione).
Gli italiani piangeranno forse il tenente scomparso (e altri fischieranno - non senza qualhce giustificazione - l'ipocrita cordoglio di questi giorni) ma difficilmente si farà luce sulla questione dirimente del fatto, l'esistenza e la presenza di questi commandos italiani che sono ben a di là della sedicente "missione di pace" in Afghanistan.
Naturalmente, forse è superfluo ricordarlo su queste pagine, la situazione conferma ancora una volta la tesi che sui media di massa non trova ospitalità e che è invece nella realtà dei fatti: noi italiani, come altri, siamo in Afghanistan poiché stiamo combattendo una guerra a quel Paese. Con buona pace - anzi passando sopra - la nostra Costituzione e le regole d'ingaggio internazionali. Siamo, in sostanza, invasori tali e quali agli Usa.
E siamo dunque, comprensibilmente, nel mirino di chi osta a tale comportamento e difende il proprio Paese.

Valerio Lo Monaco

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