sabato 18 settembre 2010

Obama e le tasse, demagogia a go-go

Meno tasse ai ceti medi e niente proroga delle agevolazioni concesse da Bush ai titolari dei redditi più elevati. Eccola qua, la seconda mossa della controffensiva di Obama in vista di quelle elezioni di Midterm che si terranno a inizio a novembre e che, in base ai sondaggi, vedono i repubblicani in netto vantaggio. La prima, di cui abbiamo già riferito martedì, era incentrata su un nuovo, doppio intervento di sostegno all’economia interna: 50 miliardi in fondi per le infrastrutture pubbliche e 100 in sgravi fiscali per gli investimenti nel campo dell’innovazione e della ricerca. 
In realtà si tratta di mosse politiche, più che amministrative. Lui le annuncia in modo così perentorio da far sembrare che siano già acquisite, ma per ora tutte queste misure non sono altro che intenzioni. Il cui primo obiettivo è di natura propagandistica. In mancanza di risultati effettivi da poter vantare, visto che la tanto sospirata ripresa è ben lungi dall’essersi avviata e il tasso di disoccupazione rimane altissimo, Obama torna a giocare la carta dei valori e degli obiettivi di lungo periodo. La difesa della classe media si trasforma in un appello a serrare i ranghi. L’attacco ai ceti più abbienti in un bersaglio sin troppo facile. «La vecchia strada – riassume lui nel fervore di questa sua campagna elettorale per interposta persona – vuol dire meno tasse sui ricchi, meno regole per i potentati economici, e anche meno investimenti sul futuro: nella scuola, nella ricerca, nelle energie rinnovabili»
In teoria sono argomenti che dovrebbero far presa sulla maggior parte dei cittadini. In teoria, specialmente in un Paese come gli Stati Uniti in cui il divario sociale è tanto forte, la massa dei meno abbienti dovrebbe desiderare il superamento di un sistema che è tanto sbilanciato a favore dei più ricchi. Ma questa è appunto l’anomalia statunitense. Il mito dell’American Dream giustifica tutto. E illude tutti. Legioni di poveracci che si immaginano che un giorno o l’altro faranno fortuna, chissà come, e allora pensano che non gli piacerebbe per niente che il fisco gli portasse via una fetta consistente dei loro amatissimi dollari. 
Ma non è certo un’istanza di cambiamento profondo, quella che arriva da Obama. Lui blandisce il ceto medio, ma lo fa in modo puramente demagogico. E basta una frase, a dimostrarlo: «A loro [i titolari dei redditi più elevati] i repubblicani vorrebbero donare un taglio d'imposte di 100.000 dollari a testa, questa è la filosofia che ci ha portati al disastro economico». Falso: benché quelle agevolazioni tributarie siano una concessione odiosa, esse sono solo un aspetto periferico, e relativamente marginale, di un problema enormemente più ampio. Formulato in modo così vago, il richiamo alla «filosofia» da cui discenderebbero queste distorsioni è non solo generico ma fuorviante. Il nodo non è qualche punto in più o in meno di pressione fiscale a carico dei milionari e dei miliardari. Il nodo è nelle ragioni che portano a quell’abissale disparità nella distribuzione del reddito.  
Federico Zamboni

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