mercoledì 26 gennaio 2011

Efficientissimi. E non delocalizzati


La globalizzazione esiste per tutti, ma non tutti la interpretano con l’arroganza di Marchionne. Vedi due aziende leader come la statunitense SAS e l’italiana Elica
di Ferdinando Menconi

Contratti capestro, minacce di delocalizzazione e altre vessazioni varie, come se l’impresa non potesse più permettersi il lusso di avere dei dipendenti, compresi i dirigenti intermedi, trattati decentemente; mentre può permettersi quello di avere dei supermanager che costano più di mille operai. E verrebbe da domandarsi se non sarebbe più semplice prendere dei manager indiani, che costano sicuramente meno e, visti i risultati della Tata, sono almeno altrettanto bravi.
Il fatto è che siamo di fronte ad una imprenditoria che persegue il potere in quanto tale, meglio se arrogante e ricattatorio, e non più la sua finalità originaria di efficienza produttiva, di cui il lavoratore motivato è il primo tassello: un dipendente soddisfatto produce più e meglio di uno incatenato al pezzo, senza disporre neppure più di tempi adeguati per pisciare. 
Ci viene costantemente fatto credere che con la globalizzazione non si può fare altrimenti, che le uniche alternative sono delocalizzare o far accettare al lavoratore condizioni da terzo mondo, e che sono finiti i tempi di imprese come l’Olivetti, leader del settore prima che fosse sfasciata perché dava il cattivo esempio. L’Olivetti dove i dipendenti avevano meno orario e più salario di tutti gli altri lavoratori d’Italia, per non parlare di asili nido ed altri benefit ora scomparsi.
Che siano scomparsi perché insostenibili è quello che ci vogliono far credere qui. Fortune, che certo non è una rivista “comunista”, ha stilato la classifica delle 100 aziende dove si lavora meglio e, ma non ditelo a Marchionne, sono tutte aziende leader, con prodotti all’avanguardia ed ampi profitti. Prima fra tutte è risultata la SAS,che produce software in North Carolina, azienda che oltre ad alti stipendi e numerosi benefit è arrivata al punto di sostenere una dipendente nelle lunghe pratiche di adozione di un bambino russo, pagandole addirittura il baby sitting, mentre in Italia una donna è stata licenziata per aver donato il rene al fratello.
Forse è in questo la ragione della crisi del settore produttivo italiano: manager che conoscono solo arroganza e dipendenti che, giustamente, finiscono col vedere nell’impresa un nemico. A chi sostenesse che in Italia i metodi del North Carolina, che a Detroit naturalmente non vengono applicati, non sono trasferibili, va ricordato che nelle Marche esiste la Elica, azienda leader mondiale nelle cappe da cucina e fra le prime in Europa nei motori elettrici, che offe vacanze studio all’estero per i figli dei dipendenti, organizza incontri in fabbrica con artisti di fama internazionale e visite ai musei, a dimostrazione che la cultura può aiutare il fatturato.
Come mai Elica non sente il bisogno di delocalizzare o di ricattare gli operai? Come fa, nonostante questo, ad essere leader di settore, al contrario di Fiat? Sarà mica che è proprio per questo che lo è? Come mai vanno meglio le imprese come Google, che fanno partecipare in maniera sostanziale i dipendenti ai profitti della azienda? Verrebbe da dire come Fantozzi, quando frequentava la “pecora rossa” della megaditta: «ma allora ci hanno sempre preso per il culo». Ci hanno preso per il culo e stanno continuando a farlo. Ad esempio: il primo problema della Fiat, come impresa e non come centro di potere, non sono i lavoratori, ma Marchionne.

Ferdinando Menconi

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