sabato 16 ottobre 2010

Io sto con le bestie di Genova


Condannare quanto accaduto non basta. Bisogna capire. E poi, semmai, dare un giudizio 
Massimo Fini mi ha detto che per capire i fatti di Genova c'è bisogno di una lezione di storia. Non calcistica, naturalmente. 
L'indignazione per quanto accaduto sugli spalti e il silenzio assordante dei media nel cercare di capire i perché di quella - condannabile - azione degli ultras della Serbia impongono dunque almeno a noi qualche riflessione.
Con una premessa, per sgomberare il campo da dubbi di vario tipo: dispiace aver visto quello che è successo. Non doveva accadere (deplorevole il nostro sedicente "servizio d'ordine" eccetera eccetera). Dispiace per la giornata di sport rovinata, per le famiglie allo stadio, per le immagini poco edificanti mostrate in televisione, per il - ancora peggio, se possibile - commento in diretta di quei cialtroni davanti al microfono, capaci (forse) di discettare su un 4-4-2 ma (sicuramente) non di capire quanto stava realmente accadendo. E perché, soprattutto.
I giornali hanno bollato il tutto con titoli a pagina intera - Bestie! - e hanno risolto la pratica. Così hanno fatto politici e giornalisti di vario tipo. Gruppi ultra nazionalisti, fascisti, eccetera eccetera e il gioco - emotivo - era già bello e pronto, cucinato e servito in tavola a un popolo non meno cialtrone dei giornalisti e politici che si ritrova. Invece sarebbe stato utile domandarsi il perché di quanto accaduto.
E iniziare a chiedersi chi erano quei ragazzi che manifestavano in curva. E allora chiariamoci: quei ragazzi erano i bambini e gli adolescenti sui quali undici anni fa piovevano bombe sulla testa, ad opera della Nato - con l'appoggio dell'Italia voluto da Massimo D'Alema - nell'operazione che massacrando la Serbia rapinava il Kosovo alla madre patria. Si dirà: quell'operazione serviva a destituire il boia Milosevic che stava facendo una carneficina. Vero. Ciò non toglie che, come al solito, noi siamo andati lì a decidere come doveva andare la storia di quel paese, bombardando Belgrado e silenziando, da allora a oggi, tutti quanti pensavano (e pensano) che la storia del proprio paese debba essere fatta dai cittadini del paese stesso, e senza pelose supervisioni internazionali. Hillary Clinton pochi giorni addietro è stata accolta trionfalmente, portando le condizioni (ricatto) per l'adesione alla Ue di quei luoghi. Il lavoro lo aveva cominciato suo marito anni prima. E noi gli eravamo andati dietro.
All'epoca nelle curve degli stadi italiani apparivano striscioni - e si commuovevano manifestazioni in strada - additando le bombe Nato. Ma D'Alema fu entusiasta di partecipare.
Oggi, nella stessa curva, ci siamo trovati i ragazzi serbi - comprensibilmente esaltati, arrabbiati e intransigenti - a cercare una ribalta per esprimersi che gli è negata da allora in ogni luogo. Nessuno, tra i nostri commentatori (né storici!) che racconti che oggi i democratici di Tadic al governo non si interessino minimamente dell'alto tasso di disoccupazione, dell'insicurezza, del debito pubblico alle stelle e della spinta all'emigrazione di quel paese dichiarato "indipendente e sovrano" da noi occidentali. Che come l'occidente, appunto, ha imparato a essere. E democratico, naturalmente.
Di quella stessa democrazia alla occidentale, esportata con il medesimo metodo, che come al solito non riconosce ad alcuno la possibilità di dissentire dalla versione ufficiale.
All'epoca noi stavamo dalla parte di quei ragazzi sui quali piovevano le nostre bombe. Oggi ci è difficile, pur riconoscendo la parte deprecabile di quanto accaduto a Genova martedì, tentare anche solo minimamente di cambiare idea. Perché quelli sono i ragazzi cresciuti ingoiando oppressione e isolamento. Perché in quelle teste oltre che rabbia e metodi e convinzioni non del tutto condivisibili, e che sfociano immancabilmente in azioni anche condannabili, c'è però voglia di ribellarsi a un destino imposto da altri. Scorre sangue - anche se avvelenato - in quelle vene. Noi invece siamo vuoti, spenti, anemici e invertebrati mentre ci portano al macello ogni giorno di più. 
Valerio Lo Monaco

PS le "scuse" al nostro Paese di Bogdanov, l'"incappucciato", arrivate ieri, sono irrilevanti e ininfluenti sul giudizio complessivo.

3 commenti:

Charlie 10 ha detto...

Carissima,
mi trovo d'accordo solo in parte con la tua analisi...

Ci sono due aspetti cha vanno presi in considerazione separatamente: quello calcistico e quello politico.
Il primo, da vecchio frequentatore di curve, mi porta a pensare che, a prescindere, ci fosse una voltà forte di "marcare il territorio", cosa abbastanza frequente nel mondo Ultras, di rivendicare un'identità calcistica che si percepisce in maniera marcata nei loro stadi (ti basti vedere qualche immagine di una partita della Stella Rossa al "Maracanà" di Belgrado per capire che bolgia infernale venga creata, un mix di esaltazione e di intimidazione che rende l'ambiente pressoché invivibile per "gli altri".

Su questo tessuto si innesca l'aspetto politico, che però considero poco più di un alibi.
A parte il fatto che non mi trova d'accordo il fatto che il Kosovo sia stato "scippato" alla Serbia (le differenze sono troppe e troppo marcate tra quelle genti e, oltretutto, i Kosovari sono visti dai Serbi come una sottospecie...), devi tenere presente che la "politica" è particolarmente presente anche nel nostro calcio, e fornisce un alibi pesantissimo dietro cui nascondere più di qualche nefandezza.
I protagonisti dei fatti di Genova non sono attivisti politici, ma capitifosi "prestati" alla politica attraverso facili associazioni più mediatiche che concrete.
Il mondo delle curve (serbe, o italiane fa lo stesso) è infarcito di capipopolo che, in nome di una autorità indiscussa, guidano il credo calcistico e non solo di una massa di persone che, spesso, non brilla per personalità ed intelligenza.

Come termine di paragone, immagina la "logica del branco" elevata all'ennesima potenza, applicata senza distinzioni a migliaia di persone. Chi ha il controllo su così tante persone, però, non ha la percezione del danno che è in grado di arrecare ad un sistema.

In una situazione del genere la politica c'entra poco: la volontà manifesta è stata quella di "mandare un messaggio" ai giocatori serbi, accusati di scarso impegno nelle precedenti partite.
Tutto il resto, a parere mio, è una sovrastruttura che sa tanto di giustificazione in pectore.

Un abbraccio forte

Charlie 10 ha detto...

Aggiungo solo una brevissima nota...
La Nazionale Italiana qualche settimana fa ha disputato una partita a Belfast. Se non ricordo male, non è che i giovani nord-irlandesi abbiano avuto un'infanzia serena, ed anche loro credo che covino parecchia rabbia, ma avendo un culto del calcio diverso da quello nostro (e da quello serbo, of course), hanno lasciato la loro recente storia politica a casa e sono andati allo stadio... Semplice, no?

Sara Santolini ha detto...

Ciao Charlie, scusa il ritardo...

"hanno lasciato la loro recente storia politica a casa e sono andati allo stadio... "

sono d'accordo, è quello che dovrebbe accadere sempre.

p.s. l'articolo non è mio