venerdì 1 ottobre 2010

Sacconi: «Ragazzi, accettate qualunque lavoro». Che bel sogno

Sacconi insiste. Non nuovo a dichiarazioni analoghe, nel corso di una lunga intervista rilasciata a Repubblica TV (qui) ripete il suo “appello” ai giovani che non riescono a trovare un’occupazione: «Dovete accettare qualunque lavoro, purché regolare, nell’attesa del lavoro che sognate. Anche quello più lontano dalle proprie aspettative legittime. Perché quello così lontano dalle tue aspettative è quello che ti farà avvicinare alle tue aspettative. Che ti farà realizzare il tuo sogno»
Un capolavoro di capziosità, nel suo piccolo. Il ministro del Welfare spaccia un problema strutturale per una difficoltà momentanea. Invita al sacrificio in nome di tempi migliori, che non mancheranno di arrivare. Suvvia, giovanotto. Oggi sputi sangue e ti spacchi la schiena. Domani, come in una commediola hollywoodiana in cui l’happy end è garantito, raccoglierai il frutto della tua disponibilità a essere umile e servizievole. Al momento potrà anche sembrarti una cosa intollerabile, e iniqua non solo perché riguarda te ma come fenomeno sociale nel suo complesso, ma devi sapere che è poco più di un prologo in vista di tutt’altre fortune. Una sorta di prova d’ammissione al Club della Globalizzazione Felice. Della serie: vediamo se questo ragazzo ha la stoffa per stare qui in mezzo a noi, dove il lavoro è interessante, ben retribuito e in fin dei conti sicuro, ancorché flessibile.
Tempo addietro, nel giugno 2009, lo stesso Sacconi aveva utilizzato un’angolazione leggermente diversa, ma altrettanto subdola: «Ai giovani va rivolto l’appello responsabile ad andare a lavorare: può sembrare una provocazione, una affermazione cinica. Ma deve avere riscontro in una realtà dove ci sono lavori rifiutati da giovani, che spesso sono intrappolati in corsi di laurea senza sbocco. Può rappresentare una crescita della loro responsabilità e capacità che sarà apprezzata nel dopocrisi, quando un capo del personale le analizzerà e vedrà che si sono messi in gioco durante la depressione economica e che non hanno atteso nell’inattività. Magari si sono messi a fare gli imbianchini e gli operai, non rifiutando anche i lavori umili».
Riunendo entrambe le dichiarazioni, il quadro è completo. Il ministro dà per scontate tutta una serie di cose che scontate non sono. La prima è che ci sarà un “dopocrisi”, in cui l’economia tornerà a correre (non domandiamoci dove) e in cui tanti bravi manager andranno in cerca di bravi ragazzi ai quali rendere merito, ricompensandoli come meritano con incarichi soddisfacenti e congruamente remunerati. La seconda, che se è possibile è ancora più illusoria, è che fare un lavoro qualsiasi, in cui si viene non solo sottopagati ma soprattutto sottoutilizzati, sia un viatico eccellente a un successivo riscatto, un duro apprendistato che però «ti farà avvicinare alle tue aspettative. Che ti farà realizzare il tuo sogno»
Sacconi gioca sporco. Parte da un concetto che preso in sé sarebbe anche condivisibile – quello dell’assunzione individuale di responsabilità, che induce a rimboccarsi le maniche e ad affrontare la realtà per quella che è, quand’anche agli antipodi dei propri desideri – e lo strumentalizza per spianare la strada a una totale acquiescenza nei confronti di un mercato del lavoro sempre più cinico e spietato. Sacconi, che si compiace di provenire dalla Sinistra riformista (sic), fa finta che nell’economia contemporanea vi sia una radice etica per cui gli sforzi di chi è sfruttato nel modo più brutale, dai call center ai fast-food,  saranno puntualmente notati e ricompensati. 
Strano tipo di sogno, quello che comincia da un incubo. 
Federico Zamboni

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