giovedì 14 ottobre 2010

Fine dell'illusione: Obama revoca il blocco

Obama ha revocato il blocco delle trivellazioni in acque profonde: alla fine un solo interesse, come al solito, ha prevalso. Quello economico a breve termine.

Ricordiamo tutti lo sguardo corrucciato di Obama e i proclami di tolleranza zero all'indomani dell'esplosione della Deepwater Horizon, la piattaforma semisommergibile di perforazione tristemente nota per aver realizzato, assieme al pozzo di gas e petrolio più profondo in alto mare, uno dei più gravi disastri ambientali della storia. Anzi, probabilmente il più grave in assoluto, almeno per il continente americano. Il Golfo del Messico con Louisiana, Mississippi, Alabama e Florida ha visto i propri fondali irrimediabilmente rovinati. A causa dell'esplosione sono morte 11 persone e molte altre, esposte alle polveri e le cui risorse alimentari sono inquinate dal petrolio fuoriuscito dalla piattaforma, si ammaleranno e moriranno negli anni avvenire. 

Davanti a tutto questo Obama non poteva non reagire. All'inizio le sue dichiarazioni contro la British Petroleum, per la quale lavorava la piattaforma, fino alla moratoria totale alle trivellazioni offshore in acque profonde, avevano fatto ben sperare sul futuro delle relazioni tra Stato e imprese private nel settore. Nonostante ciò quasi nessuno aveva creduto che potesse essere l'interesse pubblico ad avere la meglio su quello privato nel settore. Ovviamente a ragione.

La moratoria di Obama doveva scadere il prossimo 30 novembre. Dunque questo atto, seppur forte, dell'amministrazione americana, era comunque destinato ad avere un termine. Ma l'ok al riavvio delle trivellazioni è arrivato con ben 45 giorni di anticipo, anche se le imprese saranno obbligate a rispettare nuove e maggiori norme di sicurezza. 

Le motivazioni sono "insensate", se paragonate alla catastrofe causata dalla fuoriuscita dell'olio nero nelle acque del Golfo del Messico. Innanzitutto, ovviamente, ci sarebbero le pressioni dei petrolieri che continuano ad arricchirsi senza preoccuparsi delle conseguenze dell'estrazione sulla politica dei Paesi coinvolti, figuriamoci di quelle sull'ambiente e la salute. Inoltre non estrarre più petrolio sulle coste americane significa nell'immediato dover importare maggiormente dal Golfo Persico, facendone aumentare il prezzo e dunque inimicandosi aziende e cittadini.
Inoltre le pressioni sono arrivate non solo dai "padroni" ma anche da coloro che per i petrolieri lavorano da sempre come salariati. L'esempio eclatante di questa comunione di intenti è quello della Louisiana. A breve ci saranno le elezioni in quello Stato e la manodopera locale, penalizzata dal blocco delle estrazioni in un periodo già di dura depressione e crisi economica, non sente nessun'altra ragione che quella della propria necessità del momento - lavorare, magari poco, magari a poco, ma in ogni caso. Ben sapendo questo i Democratici hanno temuto per i voti a loro favore, se la moratoria non fosse stata sbloccata. 
Ma la realtà è che tutto questo, per la popolazione, significa barattare il proprio futuro a fronte di un - misero - presente.


Nessun commento: