venerdì 26 novembre 2010

Ed ecco a voi la rettifica “a mezzo show”

da "La Voce del Ribelle":
Dopo la puntata di “Vieni via con me” con Mina Welby e Beppino Englaro, il Cda della Rai pretende di concedere uno spazio di replica alle associazioni pro-Vita  


L’ultimo attacco è arrivato ieri. Il Cda della Rai ha votato a maggioranza, e col sorprendente consenso del presidente Paolo Garimberti, un ordine del giorno che impone ai responsabili di “Vieni via con me” di ospitare, nella prossima e ultima puntata del programma, l’intervento delle associazioni pro-vita, nell’intento di «replicare al racconto di Roberto Saviano dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all’elenco letto da Beppino Englaro e Fabio Fazio»
La reazione è stata immediata. E quanto mai puntuale. «Un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni. Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica. Se ogni associazione o movimento che non si sente rappresentato da quanto viene detto in trasmissione chiedesse di dire la sua, non basterebbero mille puntate. La Rai dispone di spazi adatti per dare voce alle posizioni del movimento pro-vita, che del resto già ne usufruisce ampiamente. L'idea che ogni opinione, ogni racconto, ogni punto di vista, ogni storia umana debba essere sottoposta a un obbligo di replica ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del pubblico, e soprattutto della libertà di espressione».
Ineccepibile. 
Delle assurdità del pluralismo obbligatorio, e contestuale, abbiamo già scritto ampiamente il mese scorso (qui - 18 ottobre). In quel caso lo spunto erano le pressioni di Ghedini per impedire che andasse in onda il servizio di Report dedicato alle proprietà immobiliari di Berlusconi nell’isoletta caraibica di Antigua, visto che non era previsto «alcun contraddittorio». In altre parole: nulla può essere detto, su chicchessia, a meno che non gli si conceda un immediato e simultaneo diritto di replica. Il che equivale a esigere che sui giornali, ogni volta che si scrive qualcosa su qualcuno, si riservi una o più colonne per una comunicazione di segno contrario. A cura della persona di cui ci si sta occupando e con la medesima evidenza. 
Una sesquipedale idiozia. Che, come abbiamo sottolineato allora, confonde il giornalismo coi procedimenti giudiziari, nel presupposto di dover assicurare un’identica e preventiva tutela a tutte le parti in causa. Di questo passo, prima di esprimersi sul Tal dei Tali bisognerà notificargli la propria intenzione, specificare i termini in cui lo si farà e infine attendere (per quanto tempo?) che egli trasmetta le sue osservazioni al riguardo. Oppure, hai visto mai, che conceda il suo placet. 
Nel frattempo, se possibile, la situazione è peggiorata. Che quelle cose se le augurasse Ghedini, uomo di tribunale convinto che tutto inizi e finisca nelle norme, e nelle scappatoie, dei codici – per cui Berlusconi che se la spassa con la D’Addario, pagata da Tarantini, è nulla di più dell’ “utilizzatore finale” – era in linea col personaggio. Che lo stesso approccio dilaghi, dal ministro Maroni ai vertici Rai, trasforma la sortita occasionale di un avvocato aggressivo in un atteggiamento standardizzato, che mira a imbrigliare sistematicamente la libertà di espressione. Con la scusa della parità di trattamento si snatura l’identità dei singoli programmi, i quali vivono proprio della loro capacità di caratterizzarsi in un senso piuttosto che in un altro. Solo dei burocrati ottusi, o degli yes-men in malafede, possono sostenere che il pluralismo consista nel dare spazio ai diversi orientamenti nella stessa trasmissione
Il pluralismo, al contrario, si realizza nell’offrire una gamma quanto più possibile ampia ed eterogenea di contenuti differenti, lasciando che ciascuno sia libero di scegliersi quelli che preferisce. Il pluralismo è un dovere della Rai, non del cittadino. È un’opportunità di cui fruire se e quando si vuole, nella misura che si ritiene opportuna. Non una dieta obbligatoria che costringe chiunque a ingozzarsi di un tot di questo (ciò che piace al governo) e di un tot di quello (ciò che piace all’opposizione), solo perché ha ceduto alla tentazione di accendere la tivù.  

Federico Zamboni

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