mercoledì 17 novembre 2010

Midterm: the day after

da "La Voce del Ribelle":


Le elezioni passano e i problemi restano. Anche, o soprattutto, negli Usa. E mentre l’elettorato di entrambi gli schieramenti osserva con scetticismo il futuro, Obama prova a rilanciarsi a colpi di video sulla sua vita dietro le quinte 


Sono passati dodici giorni dalle elezioni di medio termine negli USA, che abbiamo seguito con l’attenzione dovuta a un colosso che sta crollando e che, fatalmente, trascinerà nello sfacelo mezzo mondo. Tutto è rimasto uguale, anche se tutto sembra essere cambiato. La crisi non ha smesso di galoppare, la FED stampa moneta a tutto spiano per arginare i danni immediati, amplificando quelli futuri imminenti, a ulteriore dimostrazione che l’economia finanziarizzata globale cammina ormai su un binario proprio, a prescindere dalle irrilevanti ritualità politiche ed elettorali. E in questo contesto gli americani come si pongono? E Obama come si è riposizionato?


Sull’argomento, i media americani non lesinano statistiche e rilevazioni, che testimoniano il trasversale scoramento con cui i cittadini stanno cominciando a percepire nettamente, sulla propria pelle, la distanza siderale tra le promesse fatte nei ricchi rally elettorali dei candidati e la concreta impotenza di questi ultimi nel poterle mantenere. Secondo una ricerca condotta da “Pew Research Center for the People & the Press”, giusto pochi giorni dopo le elezioni di medio termine, l’entusiasmo dell’elettorato è risultato assai tiepido. Dei 1.255 adulti intervistati, il 48% si è detto felice della vittoria repubblicana, e il 34% no. Quattro anni prima le proporzioni, a fronte della vittoria democratica, erano state ben altre: il 60% si dichiarò soddisfatto, contro un 24% di scontenti.


Sui programmi elettorali che, va detto, negli USA sono un pro-forma, si registra un notevole scetticismo. La forbice tra chi ritiene risolutivo il programma repubblicano varia tra il 35 e il 45%, sia tra chi ha votato sia tra chi si è astenuto. Anche in questo caso, nel 2006 le percentuali erano assai più alte e “partecipate”. Nel dettaglio, pochi americani pensano che le proposte programmatiche repubblicane potranno essere tradotte in leggi vere e proprie. Lo scetticismo e il disincanto dilaganti fanno sì che soltanto il 22% pensi che i rapporti tra democratici e repubblicani si imposteranno su un dialogo costruttivo.


Le cifre della ricerca denotano una certa radicalizzazione delle posizioni, il che può suonare strano in un paese dove i due partiti maggiori sono tutt’altro che dei monoliti sul piano ideologico. Ma questo tendenziale desiderio degli elettori repubblicani a che i suoi eletti non scendano a troppi compromessi con Obama (e vale l’inverso per gli elettori democratici), è sintomatico di ciò che succede a una nazione e a un popolo quando la crisi arriva a mordere in modo davvero doloroso. Ognuno stringe le fila in modo sempre più rigido a difesa dei propri interessi, dimostrandosi meno incline a compromessi e più portato ad un arroccamento egoistico. Che si va a esacerbare quando, come in questo caso, è accompagnato dalla disillusione e dalla crescente presa di coscienza che la politica non riesce più a far nulla contro il caterpillar dell’economia globale, che prosegue imperterrita a demolire ogni certezza.


Questo è ciò che accade al popolo americano, dopo le elezioni. E Obama? Continua a fare come ha sempre fatto: non governa secondo le promesse e la retorica che l’hanno portato alla Casa Bianca, ma in compenso fa comunicazione. Vuota, elaborata e di nuovo retorica. È essenzialmente a questa abilità che deve il suo successo, e a quest’unica dote si appende disperatamente. E lo fa approcciando il prossimo biennio – che nel concreto sarà di lacrime e sangue, ma che per lui deve essere un investimento elettorale in vista delle prossime presidenziali – perseguendo con coerenza l’esortazione che aveva dato a se stesso nel discorso successivo alla batosta nelle elezioni di Midterm: stare più vicino alla gente.


Come primo atto successivo alla sconfitta, dunque, inaugura la costruzione della sua “videografia”. Una volta a settimana verrà pubblicato in Rete un video del Presidente ripreso in frangenti non ufficiali, mentre gioca a pallacanestro, mentre scherza con la moglie o i collaboratori, eccetera. «Un documento che avrà valore storico per la valutazione di questa presidenza», gongolano i curatori dell’iniziativa e l’autore delle riprese. La cui intera gestione è attentamente filtrata, manco a dirlo, dall’ufficio che si occupa dell’immagine presidenziale, e che ha lo scopo di mostrarne il lato umano e popolare. Sperando che l’americano medio, deluso, che ha già perso o che rischia di perdere il lavoro, la casa e l’assistenza sanitaria, sia ancora abbastanza permeabile alla propaganda da poterlo irretire nella magrissima consolazione di avere un presidente che è “uno di noi”. 


Davide Stasi

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