martedì 16 novembre 2010

Agcom, primi passi verso la censura web?


Si comincia con un balzello una tantum sulle radio e sulle tv Internet. Ma si tratta appunto di una prima mossa, che rientra nel tentativo di imbrigliare la libera comunicazione all’interno della Rete
Il provvedimento preso nella serata di domenica dall’Agcom, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, rischia di gettare le basi per la censura web. Per il suo ventesimo compleanno la Rete si vede regalare – omaggio tipico italiano – un pacchetto di restrizioni che renderanno molto più laboriosa la sua fruizione da parte di milioni di utenti. Per il momento a essere colpite dal provvedimento che rende attuativo il decreto Romani sui servizi media audiovisivi sono le web radio e le web tv (dunque anche noi de ilribelle.com). In buona sostanza, per poter trasmettere bisognerà pagare 750 euro, che potrebbero diventare 1500 qualora il programma avesse una cadenza regolare e fosse inserito all'interno di un palinsesto. Dovrà inoltre essere presentata una dichiarazione di inizio attività (DIA), senza la quale sarà impossibile avviare le trasmissioni. 
Inevitabilmente è scoppiata la polemica. Il primo ad opporsi al pronunciamento dell'organismo presieduto da Calabrò è stato Di Pietro, che dalle colonne del suo blog ha annunciato: «Io credo che il popolo della rete non accetterà questa stretta e che sarà necessario mettere in campo tutte le iniziative possibili per evitare queste regole che limitano la libertà di informazione. Il primo passo verso la censura è stato fatto e per difendere la libertà di Internet d'ora in poi sarà bene stare sempre con gli occhi molto aperti»
La nuova regolamentazione è, comunque, diversa rispetto a quanto si leggeva nella precedente bozza e lo stesso decreto approvato nel marzo scorso è una versione riveduta e corretta, in direzione di un minor rigore, rispetto a quella proposta inizialmente. In un primo momento, infatti, il costo per l'autorizzazione sarebbe dovuto essere pari a tremila euro e presentare la Dia non sarebbe stato sufficiente per dare il via alle trasmissioni. Si sarebbe dovuto farne domanda e attendere il permesso per almeno un paio di mesi. La strategia d’insieme, però, rimane invariata: con le attuali misure passa una concezione di Internet opposta rispetto a quella universalmente riconosciuta. 
Il vizio logico, al di là del dolo e dei secondi fini, sta nell’equiparare le emittenti web a quelle via etere. Mente per queste ultime l'imposizione di un pagamento può essere giustificata dalla concessione delle frequenze – che sono in numero limitato e che, dunque, vanno attribuite sulla base di determinati criteri e a fronte del pagamento di un tributo, che è il corrispettivo dovuto per il privilegio di utilizzarle al posto di chiunque altro – le prime operano in uno spazio virtuale. La Rete è tendenzialmente illimitata, è proprietà di ogni utente che la utilizza e al suo interno è stato finora possibile gestire programmi radio con costi infinitamente inferiori a quelli che servirebbero per farlo su canali tradizionali. I tentativi di far valere per il web quanto compete alle tv e alle radio vere e proprie non sono certo una novità, ma non prendere atto della specificità di Internet significa compiere dei grossolani errori di valutazione, spesso nient'affatto innocenti. I problemi sorgono semmai proprio sulle modalità di gestione, non di rado tutt'altro che trasparenti e in conflitto col principio dell’identificazione dei responsabili fissato, per la diffusione a mezzo stampa, dall'articolo 21 della Costituzione, ma questo riguarda un'altra problematica. 
Le ultime disposizioni dell'Agcom sono dettate, spiegano i suoi uomini, dalla necessità di valutare preventivamente i contenuti. Come fanno notare su Nuovasocietà.it, sito fondato dal politico e giornalista Diego Novelli, si tratta in realtà soltanto di un balzello che, una volta incassato, legittimerà ogni trasmissione senza alcun tipo di filtro. L'intento moralizzatore da questo punto di vista sembra soltanto un pretesto, e il guadagno sarebbe soltanto economico. Tuttavia le trafile burocratiche non incentiveranno, per dirla con Repubblica, lo«scenario ancora nascente e molto prolifico di progetti, spesso condotti con pochi mezzi ma con fini di utilità sociale»
Già, quello dell'utilità sociale è un discrimine ignorato. Nessuna distinzione viene operata tra siti commerciali e attività senza scopo di lucro. Si spara nel mucchio e a rimetterci, in fondo, è il libero scambio delle idee. Le delibere dell'Agcom, del resto, non si limitano a quello che abbiamo visto. Lunedì prossimo, in seguito a un rinvio dell'ultimo minuto, si discuterà di regole antipirateria e, per molti, aumenta la preoccupazione. Con ogni probabilità, infatti, saranno licenziate norme più restrittive che potrebbero portare al divieto di scambio gratuito di file e all'oscuramento dei siti  “fuorilegge” senza nemmeno il preventivo intervento dell'autorità giudiziaria, come avviene ora. Ancora una volta, la giustizia formale viene utilizzata come paravento per la difesa dello status quo, sia politico che economico.
Marco Giorgerini

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