mercoledì 10 novembre 2010

L’ennesima ingiustizia per Gabriele Sandri

da "La Voce del Ribelle":


Autostrade Spa nega alla famiglia il conforto di una stele commemorativa nell’area di servizio dove “Gabo” fu ucciso dall’agente di polizia Luigi Spaccarotella. E lo fa con motivazioni risibili


Ha ragione Cristiano Sandri. Ha perfettamente ragione. Le motivazioni con cui Autostrade Spa ha detto di no alla richiesta di installare una stele commemorativa nell’area di servizio Badia al Pino, dove tre anni fa suo fratello Gabriele venne ucciso da un colpo di pistola esploso senza motivo dall’agente della polizia stradale Luigi Spaccarotella, sono inconsistenti. Ovverosia ipocrite. Ovverosia rivoltanti. 
«Il comitato – spiega Cristiano, che di professione è avvocato e che così come suo padre Giorgio ha vissuto questa tragedia con un ammirevole miscuglio di fermezza e di dignità - ha esperito tutto l’iter corretto inviando le raccomandate ad Anas, Autostrade per l’Italia, Regione Toscana e Comune di Arezzo. Ieri sera mio padre ha avuto un incontro con due dirigenti di Autostrade per l’Italia in cui non è stata data alcuna autorizzazione a mettere questa stele a ricordo, perché altrimenti, secondo loro, l’autostrada diventerebbe una “via crucis”. E dicono che non si può creare “un precedente”. È una giustificazione risibile. Rimaniamo esterrefatti.»
Il sofisma è palese: considerare l’assassinio di Gabriele un mero incidente, equiparabile a una qualsiasi morte avvenuta in autostrada a causa di un sinistro. Proprio in quanto palese, dietro la sua patina di finta ragionevolezza, è tanto più odioso. Così come lo è la scusa di non voler creare “un precedente”. Manco si trattasse di una sentenza della Cassazione che, una volta emessa, diventa vincolante fin tanto che non venga superata da un pronunciamento successivo. 
La verità è ben diversa. Col suo diniego Autostrade Spa (e sorvoliamo sull’antefatto che ha trasformato un bene pubblico come la rete autostradale in una proprietà privata da gestire a scopo di lucro) contribuisce alla sistematica opera di rimozione che è stata avviata fin dal primo momento, quando si ritardò il più possibile la diffusione delle notizie ufficiali sull’accaduto, e che è proseguita in ogni fase successiva. Fino a culminare nella sentenza di primo grado che, non potendo negare l’evidenza dello sparo ingiustificato e delle sue fatali conseguenze, ha condannato Spaccarotella per omicidio colposo ad appena sei anni. 
«Le responsabilità – affermò perentoriamente l’allora ministro dell'Interno Giuliano Amato – saranno accertate senza reticenze». Si è visto. 

Federico Zamboni

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