venerdì 19 novembre 2010

Parole sante, Santità. Dopo di che?


Il Papa sollecita l’abbandono di «stili di vita improntati a un consumo insostenibile, dannosi per l’ambiente e per i poveri». Giustissimo. Ma adesso bisogna che anche la Chiesa ne tragga tutte le conseguenze 
Tutto bene, se ci fermiamo alle parole in se stesse. Tutto benissimo. Benedetto XVI pronuncia una serie di frasi perfettamente condivisibili e, proprio perché lo fa in uno stesso discorso, dà l’impressione di volerne sottolineare l’intima e imprescindibile connessione. Non si tratta di indicazioni che si possono recepire solo in parte ma che vanno accettate – o rifiutate – nella loro interezza. Prese nel loro insieme, infatti, identificano un sistema di pensiero, e di comportamento, opposto a quello dominante. E implicano, pertanto, degli aut aut. Delle incompatibilità, per dirlo in italiano.
Afferma il pontefice: «La crisi economica in atto, di cui si è trattato anche in questi giorni nella riunione del cosiddetto G20, va presa in tutta la sua serietà: essa ha numerose cause e manda un forte richiamo a una revisione profonda del modello di sviluppo economico globale. Malgrado la crisi, consta ancora che in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati a un consumo insostenibile, che risultano anche dannosi per l'ambiente e per i poveri». Stando così le cose, prosegue il Papa, «occorre puntare in modo veramente concertato su un nuovo equilibro tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l'aria, l'acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali»
Si potrebbe continuare, ma il succo è questo. Primo: la crisi è la diretta e inevitabile conseguenza del modello di sviluppo. Secondo: bisogna farla finita con gli stili di vita che spingono al consumismo sfrenato, che non è solo deprecabile sul piano etico ma è insostenibile su quello pratico. 
Eccellente, dal nostro punto di vista. Sono cose di cui siamo convinti da molto tempo – ovverosia da ben prima di cominciare a scriverne sistematicamente sulla Voce del Ribelle – e che sono ormai patrimonio di un versante culturale che, per quanto ancora limitato come numero di sostenitori, può contare su un approfondimento teorico di prim’ordine. Proprio perché questo approfondimento c’è già stato, però, sappiamo benissimo che quelli enunciati da Benedetto XVI sono solo i punti di partenza di un percorso che deve (sottolineato: deve) approdare a ulteriori conclusioni e proseguire nella pratica. Le ulteriori conclusioni vertono sul rifiuto tassativo dell’economia finanziaria, incentrata sullo sfruttamento usurario dei capitali e sulla speculazione di Borsa. La pratica consiste nel dare l’ostracismo a chiunque operi in direzione contraria, ivi incluso il gigantesco apparato mediatico che quei modelli di comportamento li veicola, e li rafforza, in modo più o meno esplicito. Traduzione: ai talk show non si interviene, perché il fatto stesso di intervenire significa legittimare non solo la trasmissione in se stessa ma la linea editoriale di chi li mette in onda. Un minuto prima si riflette ponderosamente sul degrado morale della nostra società, così futile ed egoistica; un minuto dopo parte la raffica degli spot. La ponderosa riflessione fa da traino all’apoteosi di ciò che stava denunciando. E chi pensate che avrà maggior effetto, nella mente degli spettatori?
I talk show sono solo un esempio, naturalmente. Ma servono appunto a dare un’idea di quel che significa passare dalla teoria alla pratica. Rompendo gli indugi una volta per tutte. Prendendo le distanze in via definitiva, non solo sul piano delle enunciazioni astratte ma su quello delle decisioni concrete, e quotidiane. Nella gravissima situazione in cui ci siamo venuti a trovare, e dalla quale non esiste via d’uscita se non l’impoverimento di massa a vantaggio di oligarchie sempre più ristrette, non ci si può permettere più alcuna dilazione e alcun accomodamento. Il tempo dei tatticismi è finito. Quello delle strategie a lunghissimo termine, così tipiche del Vaticano, anche. 
Le parole del Papa, se non vogliono limitarsi a essere chiacchiere, devono tradursi in una sollevazione dell’intero mondo cattolico contro un modo di pensare e di essere che è l’antitesi stessa dei suoi valori. Come tutte le prese di posizione drastiche costringerà le persone a schierarsi, privandole del comodo alibi della distinzione “ad assetto variabile” tra ciò in cui si crede nel chiuso della propria coscienza e ciò che si finisce col fare sull’onda dei condizionamenti sociali. In una prima fase, probabilmente, le chiese si svuoteranno. Ma non sarà un gran male. Al contrario: sarà come sgomberare la propria casa di tutto il ciarpame che l’ha riempita a poco a poco, per fare posto a qualcosa di migliore. Qualcosa che forse sarà in grado di influenzare davvero la società e forse no. Ma che certamente, almeno, sarà più limpido e coerente.

Federico Zamboni

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